
Stefano Saletti e le anime del Mediterraneo
Suoni, culture, miti, dalle Colonne d’Ercole al monte Ararat
Stefano Saletti presenta “Mediterranima” in Auditorium Parco della Musica
Roma, 8 Maggio 2025 | Ph. © Giulio Paravani
L’ultima volta l’avevo incontrata sui palchi due anni fa. Stasera la musica di Stefano Saletti stasera mi fa pensare a tre colori.
L’azzurro del cielo, il giallo bruno della sabbia, il blu che simboleggia il mare. Un albero di ulivo inscritto in un grande sole al centro. Archetipo di longevità, pace e forza. Sacro per i greci, simbolo di giustizia e sapienza nell’Antico Testamento. “Primus inter omnes” tra tutti gli alberi per i romani. Dispensatore di benessere e nutrimento per tutti i popoli e le culture che da millenni vivono con il profumo del mar Mediterraneo nelle narici.
Forse non tutti sapranno che ho appena descritto la bandiera del Mediterraneo. Disegnata da tre studenti di Siracusa e vincitrice di un contest promosso dal Progetto Mediterranea che ha coinvolto quasi mille tra designer, artisti, disegnatori. Compirà 5 anni il 30 giugno 2025 ed è stata conferita ai Primi Ministri dei trenta paesi che si affacciano nel suo bacino, oltre che a singole città.

E Stefano Saletti è a buon titolo ambasciatore di questo vessillo. Insieme alla Piccola Banda Ikona ha fatto del recupero delle tradizioni dei paesi del Mare Nostrum, la luce che ne guida il suo cammino artistico. Sceglie di assolvere a questo ruolo diplomatico l’8 maggio, in Auditorium, nella serata in cui compie vent’anni, presentando la sua ultima fatica. Il titolo lascia spazio a pochi dubbi: “Mediterranima”.
Nome che non necessita di spiegazioni e che, il fondatore del progetto mi perdonerà, avrei forse declinato al plurale. Lo avrei fato in ossequi alla molteplicità di anime che prendono vita sulle rive di quel quasi specchio d’acqua che va da Gibilterra fino a Istanbul. E poi oltre ancora, superare il Bosforo e i Dardanelli, e arrivare a Odessa. Fino al Donbass, nel Mar d’Azov. Non è immediato rendersene conto, ma anche l’Ucraina e la Russia si affacciano sul Mediterraneo.

Ad accompagnare Stefano Saletti, e tradurre in suoni e musica quest’eterogeneità di anime, non poteva che essere una varietà di strumenti musicali, e di musicisti, ben undici, che raramente si incontrano sui palchi dei concerti. Scherzando, penso che ad elencarli tutti occorrerebbero due paragrafi. Bouzouki e saltzouki, oud, saz baglama, kemenche, chitarre battenti, tzouras, cordofoni appartenenti alle tradizioni arabe, greche, italiane, giacciono sull’attenti accanto alle tradizionali chitarre. Non sono da meno le decine di strumenti percussivi che fanno compagnia alla batteria: riq, tammorra, daolla, bodhran, canjira e non solo.
Davanti a questi, l’organetto, il clarinetto, il sax soprano, il basso acustico ed elettrico fanno la figura di rassicuranti amici. Musica mediterranea aperta, come lo è il mare fin dalla notte dei tempi, all’incontro con mondi lontani. Ne è testimone la presenza del ney, antico flauto persiano. Infine le voci, femminili. Incantatrici, suadenti; carnali ed estetiche, di mare e di terra; dionisiache ed apollinee. Per necessità di spazio, e per piacere di galanteria, cito loro in rappresentanza di tutti gli altri musicisti: Gabriella Aiello, Eleonora Bordonaro, Yasemin Sannino. Due paragrafi, non era uno scherzo.
Da Gibilterra alla Georgia, quasi duemila miglia nautiche. Miti e culture che da millenni si nutrono dell’energia del mare, viaggiano sulle rotte delle navi che ne solcano le acque e sulle ali dei venti che ne lambiscono le coste. Come, ad esempio, la storia di Ròdope e della sua bellezza macchiata di hybris. Fu, infatti, la superbia a spingere lei e il marito Emo, a paragonarsi ad Era e Zeus. Le due divinità, per punirli dell’affronto, li mutarono nei monti della Tracia che da lei prendono il nome. ‘O Pireas’ ne racconta il mito con un tempo in sette ottavi e le sonorità orientali del kemenche.
Oppure come l’energia di ‘Mujalasa’, filastrocca di sabbia e vento, a celebrare i simposi letterari diffusi nel XII secolo dalla Spagna al Medio Oriente. Quasi uno ska mediterraneo/arabo/balcanico che invita a un ballo liberatorio, magari a piedi scalzi. Oppure ‘Marianna’, che suona morbida come un abbraccio femminile. Là dove Balcani e Sardegna si tendono la mano, e le voci si abbandonano a un poetico unisono per celebrare il mito della Dea Madre e invocare fertilità e abbondanza del raccolto.
Culture e anime come tessere di mosaico, fuse per creare bellezza e universalità di appartenenza, proprio come accadde alle lingue dei naviganti per tutto, o quasi, l’intero millennio scorso. In tutti i porti del mediterraneo, sul mare, per mare, si parlava il Sabir. Era un idioma pidgin composto prevalentemente da parole venete e liguri, cui si aggiungevano termini spagnoli, catalani, sardi, turchi, occitani. Permetteva la comunicazione tra commercianti francesi, spagnoli e italiani, con i loro colleghi arabi e turchi, oggi riscoperto, studiato e cantato da Stefano Saletti nei testi delle sue canzoni.
Lingua di ribellione è il Sabir. ‘Y Suzàr La Noche’ è ispirata a una poesia di Maram al Masri, e racconta una storia di violenza su una donna che alza la testa per dire “non ci sto più”. ‘Resistar’ si apre, invece, con la citazione del XXVI canto dell’Inferno messa in bocca da Dante a Odisseo. Canto di resistenza a tre voci femminili, mercuriale e levantino, con Napoli che si affaccia alla finestra.

Voci di mare, ma anche di terra si era detto. ‘Saltarello De Lu Core’ è un tradizionale della Sabina che racconta le storie delle raccoglitrici di olive di Poggio Moiano. Suonato da Stefano Saletti con la chitarra battente, ricco di armoniche con le percussioni protagoniste e che sembrano sfidarsi a chi riesce a far ballare di più chi ascolta. E il misticismo a concludere il viaggio. ‘Al di Là del Cielo e Della Terra’: tratto da una poesia di Rumi, è una dichiarazione d’amore che invita a entrare in una dimensione altra, lasciandosi dietro entrambi i mondi, spirituale e terreno.
‘Lampedusa Andata’ è un Padre Nostro in lingua swahili, che apre le porte del mediterraneo all’africa subsahariana. Un brano che suona come le centinaia di lingue del Mali, del Senegal, della Nigeria. Da Bamako ad Agrigento, dal Golfo di Guinea a Mazara del Vallo, dal delta del Niger al Mar Piccolo di Taranto. Una spinta potente, la forza inarrestabile della vita che da questo momento mi fa abbandonare la poltrona e trasforma il mio concerto in una danza. ‘Cantar’ è l’incontro tra il de André di “Anime Salve” e il Capossela di “Ovunque Proteggi”, canzone della speranza. La stessa di una mamma che culla la sua bambina davanti a uno scenario di devastazione, nella struggente ‘Mediterranima’.
A cantare con Stefano Saletti ‘El Ejército del Ebro’ è chiamata sul palco Barbara Eramo, la storia della Piccola Banda Ikona. È un viaggio al tempo della guerra civile spagnola che mi conferma che ancora riesco a star dentro ai cambi di tempo da pari a dispari. La lotta contro un tiranno diventa anche quella per un mare che resti libero di parlare all’anima del mondo, anzi ‘De Moundo’. E che lo faccia come in questo momento con me fa il sax soprano finale: piacere allo stato puro

Il Mediterraneo è un’idea. Un concetto alla base del muovere comune di genti che da sempre si incontrano nel nome dello scambio, dell’unione e della comunanza. Ieri come oggi, custode delle speranze di chi siede sulle sue sponde, ascoltando il suo richiamo di libertà e disposto a colorarlo del suo sangue pur di mantener viva la sua promessa. Mediterraneo padre; generoso, severo, arbitro della storia. Ma anche, e soprattutto, Mediterraneo madre, che accoglie, accudisce, nutre
Il concerto di Stefano Saletti e della Piccola Banda Ikona è un gioco di correnti sottomarine, da cui lasciarsi trascinare e da ballare all’aperto, nelle notti d’estate. Una lezione di geografia di popoli che costruiscono un’identità collettiva, senza nozioni, fatta solo di incontro di diversità e differenze che diventano una sola cosa.
Come cielo, terra e mare, nella bandiera del Mediterraneo.