
Ryan Adams, il venticinquennale di “Heartbreaker”
Il cantautore di Jacksonville intrattiene e commuove un Teatro Dal Verme al limite del sold-out
Un viaggio musicale di quasi tre ore per celebrare il suo album più popolare, e rievocare in acustico gli episodi più salienti della sua carriera
Milano, 24 marzo 2025
Poliedrico, geniale, controverso, irrequieto, musicalmente bulimico. Una carriera tra luci ed ombre, macchiata dalle infamanti accuse di manipolazione e molestie sessuali che hanno contribuito, insieme alla sindrome di Ménière di cui soffre da anni, a destabilizzare una carriera musicale di caratura superiore. Ryan Adams è uno dei cantautori più talentuosi della sua generazione, un personaggio che, nel bene o nel male, non può lasciarti indifferente.
Una carriera tra generi e sperimentazioni
Costantemente alla ricerca di un’identità musicale, nel suo viaggio artistico è passato dal punk rock degli esordi all’alternative-country, attraversando gli anni Novanta con i suoi Whiskeytown. A seguire, una carriera in solitaria che con quel capolavoro di “Hartbreaker” non avrebbe potuto iniziare meglio. E costellata, tra l’altro, da una serie infinita di dischi – più o meno una trentina – con peculiarità intriganti, come le cover di interi album (“1989” di Taylor Swift e “Nebraska” di Bruce Springsteen, per citarne solo due), e decisamente meno intriganti, come l’esperimento metal di “Orion”. Una carriera in cui è riuscito a racimolare ben sette candidature ai Grammy Awards.
Solo soletto o in compagnia dei Cardinals, Adams passa con nonchalance dal country al pop passando per il blues, il folk e il cantautorato a stelle e strisce, a volte preda di una sorta di logorrea discografica che lo ha portato a pubblicare 5 album nel 2022 ed altrettanti nel 2024. Il buon Ryan è sempre più solo ed isolato. La malattia, i problemi mentali, la dipendenza da alcol e droga, il tam-tam mediatico che hanno accompagnato quelle brutte accuse mossegli dalle donne con cui è entrato in contatto (inclusa l’ex-coniuge Mandy Moore) lo hanno visto perdere per strada amici, collaboratori e sostenitori, e a rinchiudersi in sé stesso. Un isolamento interrotto dall’ennesimo nuovo album e/o da un nuovo tour.
Il live a Milano: un’atmosfera intima

Come, per esempio, quello che questa sera ha raggiunto Milano, nella centralissima location del Teatro Dal Verme. Una serie di concerti acustici, con cui festeggiare, tra l’altro, il 25° anniversario di “Heartbreaker”, il suo primo disco e, abbastanza indiscutibilmente, quello più popolare. E che, come promesso, questa sera verrà presentato per intero.
Il palco del teatro milanese è arredato come fosse il salotto di casa Adams: a ridosso della ribalta, sul pavimento sono posati tre grandi tappeti su cui poggiano il pianoforte, un paio di tavolinetti, qualche sedia e le sue numerose chitarre. Non è presente alcuna illuminazione da concerto, solo un’atmosfera soffusa generata da una serie di lampade da salotto, che rende il tutto ancora più intimo e conviviale.
Nonostante gli orari ufficiali indichino l’inizio del concerto alle 20:00, il buon Ryan si presenta on stage con una ventina di minuti di ritardo, vestito come un impiegato del catasto, occhialetti e papillon inclusi. Si accomoda sulla seggiola, imbraccia l’acustica e apre il concerto così come si apre “Heartbreaker”, con una rivisitazione in chiave Delta Blues del primo brano di quell’album, ‘To Be Young (Is To Be Sad, Is To Be High)’.
La performance di “Heartbreaker” (con l’unica eccezione di ‘Come Pick Me Up’, tenuta per la chiusura del concerto) occuperà tutto il primo set di questa serata, interrotto solamente da un divertente siparietto. Dalla platea, infatti, una ragazza richiama l’attenzione del cantautore americano, sollevando un cartello con cui sostiene che il marito tiene più alla musica di Ryan Adams che a lei. Seguono una serie di sproloqui adamsiani tra il serio ed il faceto, che culminano con un’improvvisazione al piano dedicata alla coppia in questione.
In effetti durante i primi tre brani del concerto, il buon Ryan ci era apparso stranamente silenzioso. Non l’avessimo mai detto! Subito dopo si è trasformato in un fiume in piena, improvvisando dialoghi con gli spettatori, dando fiato ai propri pensieri e allo stesso tempo litigando amabilmente con tutti coloro che nelle prime file abusavano di smartphone. Il fido roadie viene spesso e volentieri chiamato in scena per farsi portare ora un caffè, ora una coca cola, ora una chitarra riaccordata per il pezzo successivo. Se non fosse per la dimensione del Dal Verme, parrebbe davvero di assistere ad una sua esibizione dal salotto di casa.
Una pausa di circa 20 minuti separa il primo del secondo set, dedicato alla restante parte della sua discografia e ad alcune cover. Si parte con ‘Ashes And Fire’ dall’omonimo album, a cui seguono ‘Two’ and ‘Dear Chicago’. Per le due cover successive, quella di ‘Lovesick Blues’ di Elsie Clark e ‘I’m So Lonsome I Could Cry’ di Hank Williams, Ryan Adams lascia il palco chitarra in mano e, senza alcun microfono, canta i due malinconici brani incamminandosi lungo le gradinate laterali del teatro, fermandosi di quando in quando a fianco degli spettatori, il religioso silenzio dei quali è interrotto solo dalla sua voce non amplificata.

Un finale da brividi con un giovane fan
Riappropriatosi del palco, in sequenza vengono proposte ‘Everybody Knows’ e ‘Gimme Something Good’. Qualcuno del pubblico vorrebbe ascoltare ‘Lucky Now’, al che Adams scorge un cartello sollevato da un giovane spettatore della primissima fila. Il cartello recita testualmente «Dear Ryan, you’re feeding my dreams since first grade!! Can we play something together, pls?».
Detto, fatto. Il giovane spettatore raggiunge Ryan sul palco e dopo aver ricevuto la chitarra dal roadie inizia a cantare proprio ‘Lucky Now’. Adams lo guarda ammirato, gli si siede accanto e si unisce a lui, per uno dei momenti più emozionanti della serata. Possiamo solo immaginare la felicità interiore di un fan che vede finalmente realizzare il proprio sogno musicale.
Lo show si avvia alla conclusione con un’altra cover, quella di ‘Idiot Wind’ di Bob Dylan, e con una classicissima ‘New York, New York’ per poi finire in bellezza con la già citata ‘Come Pick Me Up’, a suggello di una performance durata poco meno di tre ore, letteralmente volate via grazie al coinvolgimento emotivo di un Ryan Adams che, se non fosse per il carattere intimo e soffuso di cui si è tinta la serata, avremmo definito un fiume in piena.
Nota dell’autore
Il giovane fan che ha condiviso il palco con Ryan Adams è Simone Bertanza, cantautore bresciano che il sottoscritto aveva già visto all’opera, avendo aperto un concerto di Andrea Van Cleef. Il ragazzo è davvero talentuoso, e chissà che questa performance improvvisata non sia foriera di buone notizie per il suo futuro musicale. In ogni caso, a lui vanno i miei più sentiti complimenti, e una gran pacca sulla spalla per essere riuscito a concretizzare il proprio sogno.