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Black Coffee

Roma Summer Fest 2025 | Black Coffee

In quattromila per Black Coffee e la sua afro-house

L’artista sudafricano apre con un soldout la stagione dei concerti in Cavea

Roma, 18 maggio 2025

Finale di gara 4 del play off promozione in serie A2: Virtus Roma – Pallacanestro Capo D’Orlando 77 a 72. Come sia finito nel rinnovato Palazzetto dello Sport di viale Tiziano, a cento metri dall’Auditorium Parco della Musica di Roma, quando il motivo della mia presenza in zona è il set house/elettronico di Black Coffee?

Domenica e festivi i concerti sono spesso anticipati al pomeriggio. Mesi fa ho mancato un concerto di Bollani, da allora sono sempre molto attento agli orari di inizio. Le comunicazioni dell’evento che vede protagonista Black Coffee riportano le ore 17 come inizio dello show. Lo prendo per buono.

L’Auditorium è vicinissimo alla zona del Foro Italico, dove sono in programma la finale degli Internazionali d’Italia con Sinner e, a seguire, la partita di calcio Roma – Milan. Per evitare l’odissea del traffico e dei parcheggi introvabili arrivo per tempo. Arrivo al chiosco di fronte alle sale concerti, mi siedo, capto una conversazione al telefono.

«Iniziamo alle 17, ma il set per cui abbiamo speso tutti questi soldi comincia alle 22»

Parole che sono una frustata in faccia. Guardo l’orologio: le 15.20. Solo 6 ore e 40 minuti di anticipo, ho il tempo di improvvisarmi tifoso di basket.

Passare due ore in un Palazzetto dello Sport infuocato da trombette, tamburi e urla belluine dello speaker è come prepararsi al cenone di Capodanno andando a pranzo da Meo Patacca a Trastevere. Sono le 19.00 e i colpi di cassa arrivano fino al lungotevere, per la felicità dei residenti del Villaggio Olimpico. Alle 20.30 entro nell’area destinata al concerto.

Black Coffee

Andare a un concerto di un dj e producer che suona house è una delle ultime cose che avrei mai immaginato di fare, ma cambiare la propria scala di priorità può aprire prospettive inattese. O forse è solo l’illusione di rallentare il tempo. Ma Black Coffee credo possa avere qualcosa da raccontare. Nasce nel 1976, nel Natal, la zona delle miniere di diamanti del Sudafrica, come Nkosinathi Innocent Maphumulo. Ha 14 anni quando perde l’uso del braccio sinistro, rimasto gravemente lesionato, a causa degli incidenti una manifestazione per la liberazione di Nelson Mandela.

Per il giovane Black Coffee, R&B, Afro sono pane quotidiano. Porta a termine gli studi musicali di jazz e nel 2005 pubblica il suo primo album omonimo. Le influenze tribali e afro sono presenti nella sua produzione. Si susseguono riconoscimenti, suona nei più importanti club internazionali e festival come il Coachella, collabora con David Guetta. Nel 2022, con “Subconsciously” vince il Grammy come miglior album nella categoria dance/elettronica. Ce n’è abbastanza per stuzzicare la mia curiosità

Black Coffee

È il battesimo della Cavea per quanto riguarda la stagione dei concerti all’aperto del Roma Summer Fest. Il servizio d’ordine è imponente e numeroso; transenne come fossimo all’ambasciata americana e perquisizioni come al gate di un volo per Tel Aviv.  Non serve questo per capire che i numeri dell’affluenza saranno molto alti e che non ci si aspetta lo stesso pubblico di Thom Yorke o Paolo Conte. Il collarino con il pass stampa mi fa evitare la coda e sono accolto da un’elegante e gentile hostess.

La musica spinge assai nelle casse. Prima di avvicinarmi al palco e alla consolle, faccio un giro per osservare la situazione. L’interno dell’auditorium è off limits, presidiato da ulteriore sicurezza. I bagni sono chimici, si trovano nel giardino del livello superiore. La fila è piuttosto lunga, evidenza che un numero maggiore non sarebbe stato male. Qualcuno approfitta di qualche angolo all’ombra della copertura metallica della Sala Santa Cecilia.

Cammino e osservo una tribù variegata e multicolore. Si va dalla quindicenne dal viso d’angelo al “Libanese” che è bene non fissare troppo. Nel mezzo immaginateci tutto quello che vi pare; il coatto dei più classici, la studentessa universitaria con il glitter su guance e occhi, il vecchio emulo di Franco Califano, lenti azzurrate comprese, che avvinghia una donna di età indefinita e indefinibile e molto altro ancora. Ci metto tutta la mia buona volontà, ma è evidente che io sono out, almeno per ora. Non tanto per una questione anagrafica e socioculturale, quanto per la mia naturale passione per l’introversione, e probabilmente per il fatto di essere attualmente sobrio.  

Più mi avvicino al palco e più aumenta il gradiente di densità dei corpi. Penso che non sarà semplice. E invece scopro di avere possibilità di accesso al backstage, ossia le tribune in alto, lungo il perimetro della Cavea. Da quassù cambia tutto. Il crepuscolo, la sagoma di Monte Mario sullo sfondo. Decine di laser, disposti lungo tutto il perimetro della Cavea. Una collana di pietre preziose che trasformano lo spazio in colore. Sotto, la gioia di più quattromila persone, molte di più, diventa danza. l’energia e le vibrazioni mi arrivano dritte alla pancia e per diversi minuti mi chiedo se per quarant’anni non abbia ascoltato la musica “sbagliata”.

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Allo scoccare in punto delle 22 arriva Black Coffee. Giubbotto di pelle nero su maglietta bianca. 120 bpm, ipnotici, ininterrotti, ad accompagnare due ore di performance. La cassa e il basso sovrastano percussioni e frammenti melodici afro, campionati, scomposti e ricomposti. Ho guadagnato una posizione privilegiata, sulla balaustra esattamente sopra di lui. E prendo una decisione: quella di infrangere un voto e giocarmi la parola “iconico” per descrivere ciò che vedo.

Dopo quella di insediamento di Robert Francis Prevost, aka Leone IV, quella di stasera in Cavea è la seconda messa solenne celebrata oggi in città. La postazione con le macchine elettroniche ne è altare e Black Coffee con gesti lenti, misurati, sicuri. Trasmette  sapienza, consapevolezza, carisma del capo tribù, con il suo seguito alle spalle che non lo molla un secondo; e gioca.

Gioca sulle attese, Black Coffee. La chiave è il silenzio, non il suono. Il concetto è lo svuotare per poi riempire e rilanciare l’energia. L’assenza crea tensione. L’attesa poi la trascina fino alle sue estreme conseguenze, fino a quando rientrano implacabili cassa dritta e frequenze basse che fanno spavento e impazzire i fedeli convenuti. Il tutto condito da inserimenti percussivi, campionamenti di piano jazz, citazioni da ‘Innerbloom’ di Rufus do Sol e ‘Somebody That I Used to Know’ di Gotye che, a quanto pare, in comune con una maglietta nera ha lo star bene su tutto.

Black Coffee

Così come stanno molto bene le persone accorse stasera, non per tutte, forse, una felicità “naturale”. Poi, dopo un’ora e venti, forse per la mia condizione fin troppo lucida, comincio ad annoiarmi. Percepisco di non essere il solo. Senza un paio di gin tonic in corpo è difficile riuscire a star dentro il beat per più di un’ora. Abbandono il vippaio e approfitto dell’assenza di coda a uno dei punti deputati al food & beverage. Ordino. Non un gin tonic, ma una semplice birra. Respiro, mi godo il primo concerto all’aperto della stagione e rientro nel giusto mood.

Esco pochi minuti prima, antistante all’ingresso del concerto si trova una delle postazioni mediche. Il medico di servizio è un signore dalla faccia simpatica, rassicurante, affabile e gentile. Il volto che vorresti trovarti davanti quando entri dentro un’ambulanza. Mi racconta che è andata bene. Giusto un paio di interventi con persone che hanno avuto qualche problema. Due su quasi cinquemila persone: evidentemente i rave non sono “il male” che qualcuno pensa. Capito Ministro Piantedosi?