Ferrara Sotto Le Stelle 2025 | Porridge Radio
di Stefania Nastasi 14 Giugno 2025

I Porridge Radio salutano i fans con l’annunciato ultimo tour
Quando la fine è bellezza: l’addio dal Cortile Estense a Ferrara Sotto le Stelle
Ferrara, 14 Giugno 2025 | Ph. © Carlo Vergani
Ferrara Sotto le Stelle 2025, giunto alla sua ventinovesima edizione, continua a confermarsi uno degli appuntamenti più longevi e amati del panorama musicale italiano. Nella suggestiva cornice del Castello Estense, il festival che celebra la musica indipendente e contemporanea ha ospitato una serata che rimarrà nella storia: l’addio dei Porridge Radio, una performance che si è trasformata in qualcosa di molto più profondo di un semplice concerto.
La serata si è aperta con l’intensa esibizione di Lamante, moniker di Giorgia Pietribiasi, impegnata nel tour del disco d’esordio “In memoria di”, uscito lo scorso anno. In soli 11 brani, l’artista vicentina ha raccontato una storia familiare dolorosa e necessaria, dando voce alla parte femminile di generazioni di donne silenziose. La sua proposta artistica nasce dalla scoperta dei diari del nonno e si sviluppa intorno alla figura della zia, morta di overdose dopo essere fuggita da un padre padrone che non accettava le sue scelte di libertà. Con una voce scura e tagliente come le donne contadine della sua famiglia, Lamante ha trasformato il cortile del castello in uno spazio di memoria collettiva, dove il dolore privato diventa racconto universale, preparando perfettamente il terreno per quello che sarebbe seguito.
C’è qualcosa di cinematografico nel vedere i Porridge Radio esibirsi nell’antica corte Estense: le mura che sudano storia e magnificenza sembrano contenere e amplificare allo stesso tempo le emozioni che Dana Margolin e i suoi compagni riversano sul palco, creando un dialogo surreale tra storia e contemporaneità, tra pietra antica e vulnerabilità moderna. Il concerto di ieri sera non è stato solo un addio, ma una lezione di come si possa trasformare la fine di un’avventura in un momento di pura bellezza artistica. In un’epoca in cui le band si sciolgono tra polemiche e rancori, Porridge Radio hanno scelto di concludere la loro esperienza con la grazia di chi sa riconoscere quando è il momento giusto per voltare pagina.
Sono passati 3 anni dall’ultima volta che li vidi sul palco di Artivive Festival ed è molto evidente la maturità raggiunta dalla band. Oltre a un cambio di formazione, quello che colpisce immediatamente è l’equilibrio raggiunto, la consapevolezza di aver raggiunto un grande traguardo che li porterà su altrettante strade. Dana Margolin, con i suoi capelli ormai lunghi che incorniciano un volto più sereno rispetto agli esordi, non è più solo la frontwoman tormentata che urla il proprio dolore, ma è diventata una narratrice capace di guidare il pubblico attraverso paesaggi sonori complessi con la sicurezza di chi ha imparato a convivere con le proprie ombre.
Questa sera, accanto a lei, non troviamo più Georgie Stott che rappresentava l’altro polo di questo universo musicale. La loro collaborazione più che decennale si manifestava in un dialogo vocale che andava ben oltre la semplice tecnica: comunicazione pura, intesa che nasce dalla condivisione di un percorso artistico e umano. Nessuno conosce la musicista che la sostituisce questa sera ma nonostante questo cambio e la minore intensità rispetto alla Stott, quando le loro voci si intrecciano in “Lavender, Raspberries”, eseguita a metà set in una versione ancora più intima rispetto al disco, il pubblico ferrarese rimane in ascolto assoluto. Sam Yardley alla batteria e Dan Hutchins al basso completano la formazione che ha raggiunto una maturità performativa impressionante, trasformandosi da semplici accompagnatori delle canzoni di Dana in un vero ensemble dove ogni elemento contribuisce alla costruzione di architetture sonore affascinanti.
La setlist del concerto è particolarmente incentrata su “Clouds in the Sky They Will Always Be There For Me”, ultimo album che rappresenta il punto più alto della parabola creativa del gruppo, e ascoltarli dal vivo è come assistere al completamento di un cerchio perfetto. L’apertura è affidata al brano “Sick of the Blues”, che si manifesta con una forza catartica impressionante, sfruttando l’acustica naturale del cortile del castello che restituisce ogni sfumatura dinamica nella transizione dalla quiete introspettiva all’esplosione sonora. “God of Everything Else”, uno dei momenti più attesi della serata, si trasforma in un piccolo miracolo di intensità: nata dalle ceneri di una relazione dolorosa, la canzone si è trasformata in un ricordo del passato, con Dana che sembra aver fatto pace con il dolore che l’ha generata mentre il pubblico, composto in gran parte da fan che seguono la band da anni, canta ogni parola creando un coro spontaneo.
Se c’è una caratteristica che definisce l’approccio compositivo dei Porridge Radio è proprio la capacità di costruire tensione partendo da momenti di quiete assoluta per poi esplodere in sezioni catartiche devastanti, e due dei momenti più coinvolgenti della serata arrivano proprio dall’EP pubblicato lo scorso febbraio. “Don’t Want to Dance” e la title track “The Machine Starts to Sing” si rivelano perfetti per la dimensione live, con quest’ultima che si sviluppa in oltre sette minuti di pura magia sonora. Il brano inizia come una delicata ballata folk per poi evolversi attraverso territori sonori inesplorati, con le tastiere che creano paesaggi ambient sui quali la voce di Dana fluttua come in un sogno. Il finale, con tutti e quattro i musicisti che contribuiscono a costruire un muro di suono etereo e potente allo stesso tempo, rappresenta forse il momento più alto dell’intera performance.
Non sono mancati i brani legati ai primi album, con “Sweet”, unico rappresentante dell’acclamato “Every Bad”, accolta da un’ovazione che testimonia l’affetto del pubblico per quel disco che ha fatto conoscere i Porridge Radio al grande pubblico. La canzone, proposta in una versione leggermente riarrangiata, mantiene intatta la sua forza beneficiando della maggiore maturità tecnica raggiunta dal gruppo. “7 Seconds”, uno dei singoli più amati della loro discografia, scatena l’entusiasmo del pubblico che agita teste e telefonini, mentre “Good For You” viene proposta in una versione che mette in evidenza il contributo ritmico di Sam Yardley, vero e proprio motore dinamico dell’intero concerto.
Gli ultimi due brani della serata sono “Back to the Radio”, che chiude il set regolare con la sua carica coinvolgente, mentre il primo bis vede Dana da sola al pianoforte per una versione intima e toccante della title track “Waterslide, Diving Board, Ladder to the Sky”. È forse questo il momento più intenso dell’intera serata: Dana, sola sotto le stelle di Ferrara, con solo il pianoforte e la sua voce, ripercorre il brano che meglio rappresenta il percorso artistico del gruppo. La canzone, che nel disco originale si sviluppava attraverso dinamiche complesse, qui viene spogliata di ogni orpello per rivelare la sua essenza più pura: una meditazione sulla crescita, sul cambiamento, sulla necessità di lasciarsi alle spalle il passato per abbracciare il futuro.
Il gran finale arriva con “The Rip”, eseguita nuovamente dal quartetto al completo, trasformandosi in una vera e propria liberazione collettiva che esorcizza definitivamente tutti i fantasmi del passato attraverso una performance di rara intensità. Il pubblico ferrarese risponde con un’ovazione che dura diversi minuti, come se non volesse accettare che tutto stia davvero per finire. Appoggiati gli strumenti, la serata si conclude con i saluti: le setlist trasformate in aeroplanini di carta vengono lanciate verso il pubblico assumendo un significato ancora più poetico, e vedere questi piccoli oggetti fluttuare nel cielo notturno di Ferrara è un’immagine che resterà nei ricordi di tutti i presenti.
I Porridge Radio hanno dimostrato che si può chiudere un’esperienza artistica con grazia, dignità e bellezza. Non c’è amarezza in questo addio, ma solo gratitudine per un percorso condiviso che ha regalato emozioni autentiche a migliaia di persone. Dana Margolin e i suoi compagni ci hanno insegnato che l’arte vera nasce dalla vulnerabilità, dalla capacità di trasformare il dolore personale in bellezza universale, portandoci attraverso un viaggio di crescita dalle urla disperate degli esordi alla saggezza malinconica dell’ultimo album, passando attraverso tutte le sfumature dell’esperienza umana.
Non sappiamo cosa riserverà il futuro a questi quattro musicisti straordinari, ma siamo certi che il segno lasciato nella storia della musica indipendente contemporanea rimarrà indelebile. Come le nuvole del loro ultimo album, saranno sempre lì per noi, a ricordarci che la bellezza può nascere anche dal dolore, e che a volte la fine di qualcosa può essere l’inizio di qualcos’altro di ancora più bello.
Ferrara ha ospitato non solo un concerto ma un momento di pura poesia musicale, e noi, spettatori privilegiati di questo addio perfetto, possiamo solo dire grazie.