Pixies, l’arte dell’irregolarità

Come il fotogramma di un grande film: difficile definirli o incastonarli in un’epoca o una moda

I precursori della scena americana anni Novanta sul palco del Roma Summer Fest

Ricordo una volta Kurt Cobain dire che era alla ricerca della canzone perfetta e per trovarla sarebbe bastato fare esattamente quello che facevano i Pixies.
Percorso irregolare e travagliato, quello della band di Boston: Black Francis e Joey Santiago con David Lovering sono la spina dorsale di una band da quasi dieci anni orfana di Kim Deal e del suo basso, egregiamente sostituita da Paz Lenchantin.

A cavallo degli anni Ottanta e Novanta sfornano album come “Surfer Rosa” e “Doolittle”, pietre miliari di un rock alternativo americano che si emancipa dalla seminalità britannica per calarsi nel proprio humus culturale, fatto di contaminazioni meticce.
Proprio come la loro musica: classic rock e surf music con venature pre grunge alle quali si aggiungono sonorità ispaniche e persino omaggi espliciti alla musica demenziale. Lo spazio temporale in cui si muove il quartetto di Boston non è mai lineare, né in studio né dal vivo.
È un flusso creativo e disorganico che ha una sua capacità di rimettersi in ordine di fronte un microfono acceso.

La dimensione live da sempre ha pochi fronzoli.
Poca interazione col pubblico e strumenti trattati come fucili da caccia, diretti e fumanti.
La setlist della serata viaggia dalle note di ‘The Holiday Song‘ a ‘Mr. Grieves‘, ‘Brick is Red‘, ‘Gouge Away‘.
E ancora, ‘Head On‘ (difficile e bellissimo omaggio ai The Jesus and Mary Chain), ‘Bone Machine‘, ‘Caribou‘.
C’è anche spazio per altri due omaggi ai Surftones (‘Cecilia Ann’) e a Neil Young con una tiratissima ‘Winterlong‘.
Il finale è esplosivo con l’immortale ‘Where is my mind‘, ‘La La Love You‘ e ‘Debaser‘.
Il repertorio pesca a piene mani dai primi album dei Pixies ma vede anche pezzi della produzione musicale più recente come ‘Death Horizon’ o ‘All the Saints’, che si rivelano all’altezza del lucente passato.

La grandezza dei Pixies, come quella di tutte le band che provengono dalla fioritura grunge, è molto legata alle vicissitudini umane dei loro componenti.
Stati umorali che a volte sprofondano nella depressione e le liti tra i componenti della band hanno spesso una influenza decisiva sul lato artistico.
I Pixies però hanno una caratteristica che ne definisce la loro unicità: hanno sempre rifiutato la categorizzazione profetica o maledetta che invece sono state la cifra di gruppi come Nirvana, Soundgarden, Pearl Jam o Alice in Chains.
Al contrario, hanno rappresentato l’onda anomala di una fase musicale che si è consumata in pochi anni.

Troppo presto per essere compresi fino in fondo, troppo tardi per sprofondare nei loro miti.
Ma al momento giusto per essere assiduamente amati da tanti quarantenni che “Surfer Rosa”, “Doolittle” e “Bossanova” sentono ancora oggi come germi della loro formazione spirituale della post adolescenza.
Ad iniziare da chi scrive.

Pixies

Roma, 27/06/2022

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