Chissà se ci si stanca mai di sentirsi dire “sei un genio”, un “prodigio della musica” o magari “sei la musica fatta persona”. Una domanda che mi sono fatta più volte nel vivere il concerto di Jacob Collier nell’ennesima notte ardente dell’estate capitolina.
Perché non si può davvero fare a meno di rimanere sbalorditi di fronte alla continua esplosione di talento del 29enne londinese che incanta pubblico, critica e illustri colleghi musicisti da oltre dieci anni.
Capelli sparati in aria, il corpo esile che si dimena in vestiti ampi e coloratissimi (sbirciate il suo profilo Instagram e avrete un’idea chiara del mood), un’energia costante ad altissima frequenza che si percepisce intensa persino nei momenti più raccolti dello show: a vederlo sul palco, Jacob Collier fa pensare a uno spirito di qualche favola, un Puck irrequieto e birichino che estrae musica da tutto e tutti, pubblico compreso.
Divenuto famoso nel 2011 su YouTube, qualche anno dopo ha debuttato con l’album “In My Room”, completamente realizzato nella sua camera, e che gli è valso subito due dei cinque Grammy collezionati finora. In scaletta nella serata del 24 luglio ci sono stati oltre una decina di brani tratti dai suoi 4 studio album (e soprattutto da “Djesse Vol. 3”, il più recente), ma anche cover (‘Can’t Help Falling In Love With You‘, ‘Somebody To Love‘) e anche la recentissima ‘WELLLL‘, uscita meno di due settimane prima del concerto di Roma.
Polistrumentista che salta da un genere all’altro, o meglio li fonde insieme con un gusto tutto personale, ha un range vocale incredibile che sfrutta in tutte le direzioni, anche nel duettare con le vocalist che lo accompagnano sul palco. Si impone all’attenzione la voce ultraterrena di Alita Moses, ma non si rimane indifferenti nemmeno di fronte al talento di Emily Elbert (anche chitarrista) e Erin Bentlage (anche tastierista).

Ma…con che genere di musica Jacob Collier ha gettato l’incantesimo sul pubblico della Cavea all’Auditorium Parco della Musica?
Verrebbe da dire: «Tutti!», e se foste di quelli che amano registrare stralci di live, probabilmente vi ritrovereste a guardare video che sembrano presi da concerti completamente diversi. Ma volendo evidenziare qualche etichetta in particolare, emergono il neo soul, il funk, il jazz, e persino la musica polifonica – grazie a un harmonizer che Collier stesso ha progettato insieme a Ben Bloomberg e che gli permette di manipolare la propria voce tramite una tastiera che sembra “moltiplicare” la sua voce.
Ecco quindi che assistere a un suo concerto è come avventurarsi in una, o anzi tante dimensioni al di fuori della realtà, dove tutto segue le regole del suo demiurgo in perpetuo movimento: se lo perdi di vista per qualche secondo è saltato già da un lato all’altro del palco, o magari ha suonato altri tre degli innumerevoli strumenti che affollano il palco, corredato da vasi di piante e persino una panchina (è lì che, dopo un’improvviso colpo di sonno, si mette a suonare la funky ‘Time Alone With You‘).
Di fronte a tanta esuberanza, si apprezza la duttilità nel seguirlo del bassista Robin Mullarkey e del batterista Christian Euman: anche loro, come il protagonista dello show, sono di quegli artisti che hanno la capacità di far sembrare semplici cose che sono invece incredibilmente complicate.
Bellissimo ed impeccabile anche il gioco di luci e colori che contribuiscono a creare il mood: è tutto in sintonia con l’impressione che, per Collier, le note prodotte da qualsiasi strumento o voce siano colori con cui dar vita a immagini e sensazioni. Nelle sue mani le onde sonore e le frequenze sembrano qualcosa di tangibile che lui plasma a piacimento.
E forse i momenti più suggestivi per ogni spettatore, neofita o veterano, sono proprio quelli in cui l’artista smette di suonare strumenti e comincia a suonare il pubblico. O meglio, a dirigerlo in modo del tutto intuitivo e spontaneo, trasformandolo con pochi gesti in uno straordinario coro polifonico. Col suo orecchio assoluto, il virtuoso degli accordi in posizione stretta riesce a condurre le diverse sezioni di spettatori in modo che seguano diverse progressioni di note in totale armonia, modulando persino l’intensità.
All’improvviso sembra di far parte di qualche cerimonia sacra: le stesse persone normali che prima del concerto producevano un chiacchiericcio normalissimo, tutte insieme, creano armonie angeliche che si riverberano nell’anima.
La cosa bella è che questo succede fin dall’inizio: Collier corre sul palco, saluta, poi lancia in alto un braccio e comincia a gesticolare con movimenti ampi e chiari. Poi inizia il concerto: il giovane corre al piano e attacca le prime tre canzoni, un susseguirsi di stimoli che stordisce piacevolmente, e ti lancia nel percorso che Collier ha preparato con cura. Corse e rallentamenti, musica martellante e momenti intimi e acustici, luci che lampeggiano e scene monocromatiche: lo seguiamo lasciandoci andare, si finisce a ballare sotto al palco e chiamarlo a gran voce per un encore che, ancora una volta, ci rende tutt’uno con la sua musica per mezzo del canto.
Considerando che era già stato a Roma solo nove mesi prima (ed era riuscito a ottenere una performance incredibile dal pubblico), viene solo da sperare che non ci sia da attendere troppo anche per il prossimo incontro.