Pere Ubu live a Roma: l’alternative rock che barcolla ma non molla

Negli anni ho più volte inseguito i Pere Ubu senza successo per i motivi più futili.
La catena di sfortune si è interrotta il 31 marzo, quando finalmente sono riuscita a vederli live al Monk di Roma e per godere appieno dello spirito di David Thomas e soci mi sono fatta accompagnare in questa avventura sonora da ben altri quattro compagni di viaggio: amici carissimi, nonché fan della prima ora, esperti ed amanti del genere – pronti a snocciolare ad un’ascoltatrice casuale (come la sottoscritta) aneddoti ed opinioni in merito all’evoluzione storica del gruppo di Cleveland.

Parto da casa in direzione del Monk con sole due certezze, e la prima è legata al clima: le stagioni sono definitivamente stravolte, fa caldo e sembra di essere in una tranquilla serata d’estate.
La seconda è la consapevolezza che i Pere Ubu sono una delle band che hanno contribuito alla nascita della new wave e dell’alternative rock – e già solo per questo dovrebbero essere seguiti non solo da un pubblico di nostalgici ma da chiunque si definisca “amante della musica in generale”.
Attualmente impegnata in un tour europeo, la formazione a cinque elementi capitanata da David Thomas arriva in Italia per presentare “Architecture Of Language 1979-1982”, un box set uscito per la Fire Records che contiene i primi ed importantissimi album della band.
Dopo innumerevoli cambi interni arriviamo ad oggi con Tom Herman (chitarre), Robert Wheeler (sintetizzatori e theremin), Michel Temple (basso), Steve Mehlman (batteria) e, naturalmente, il frontman / fondatore / pilastro storico David Thomas.

Pere ubu

Il locale conta una buona partecipazione da parte del pubblico che stupisce per la varietà anagrafica: ragazzi poco più che ventenni si mescolano a persone sui cinquant’anni (ed oltre), che per una sera tornano a rivivere l’entusiasmo della propria adolescenza con quello che è probabilmente stato per un periodo il loro gruppo preferito.
Freschi di un compleanno che ha visto la band spegnere 40 candeline, i Pere Ubu si sono presentati sul palco in orario pronti a regalare un’ora e mezza piena di ululati e rumori stridenti.
In una recente intervista David Thomas ha affermato: «Noi non provochiamo il caos, lo preserviamo. Oggi più che mai, avete bisogno di un caos completamente immotivato che solo uomini di fede possono procurarvi».
Assistere ad un loro concerto significa esattamente questo: perdersi nel caos sonoro.
Il pubblico, in trance, si è lasciato trasportare dalle emozioni in religioso silenzio, come fosse realmente dinanzi a delle divinità, più che a degli uomini di fede.
Pochi si sono sciolti, scuotendo timidamente la testa e muovendo gambe: i più hanno tenuto gli occhi fissi al palco e cantato tutti i brani senza mai esagerare nei toni.

Pere Ubu - Roma

Se non sei tra i fortunati delle prime file, dal fondo è difficile vedere bene ciò che accade, ma poco importa: Thomas ha posato il suo bastone da passeggio a terra, e resta tutto il tempo seduto al centro della scena sorseggiando di tanto in tanto del vino rosso da una grande mug bianca.
Gli altri lo circondando, con la batteria leggermente defilata alle spalle della bassista, ma non sono i loro singoli movimenti (totalmente assenti) ad interessare: qui sono i suoni a regnare sovrani.
Suoni che si dipanano di prepotenza in tutto il locale a ricordare che l’innovazione, la svolta e la rivoluzione del rock contemporaneo è opera loro.
Al posto del trio di base composto da chitarra – basso – batteria, la mia attenzione ricade spesso sulle mani di Robert Wheeler: gesti fluttuanti nell’aria che creano materia sonora grazie ad un sapiente uso del theremin. Ah, che meraviglia!
Improvvisazione, cacofonie, sperimentazione: da ‘Misery Goats‘ a ‘Over My Head‘ senza tralasciare ‘Caligari’s Mirror‘, i Pere Ubu sono spettacolo puro per le orecchie.
È stato bello assistere al concerto dovendo combattere solo con l’altezza delle persone: in pochi hanno infatti ripreso qualche spezzone del live col proprio cellulare.
Non che non ci fosse qualcosa da filmare, intendiamoci: è che l’educazione di un pubblico “più maturo” si misura con l’attenzione che ripone nell’artista, non nei minuti che passa a riprenderlo.

Pere Ubu - Roma

Certo, non si può ignorare la fatica di David Thomas nei movimenti: quando in piedi non lascia il bastone, indispensabile per camminare, e la schiena è ricurva.
A detta dei miei accompagnatori l’ultima volta che passò per Roma con la sua creatura (febbraio 2015) non era così fisicamente stanco, e vista in quest’ottica fa un po’ tenerezza capire quanto la storia dell’alternative rock barcolli (ma non molli) dinanzi al tempo che passa: d’altronde, anche questo fa parte del fascino mitologico di coloro che la storia non la vivono ma la creano.


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