
Offlaga Disco Pax: Il Senso Della Memoria
Gli “estremismi sentimentali” degli Offlaga Disco Pax
Al Monk la festa per i vent’anni di “Socialismo Tascabile”
Roma, 15 Aprile 2025 | Ph. © Ginevra Baldassari
C’eravamo tutti dagli Offlaga Disco Pax al Monk. Tutti quelli che dovevamo essere. I “gabbiani ipotetici” di Giorgio Gaber. Orfani di quell’intenzione del volo, alla ricerca di restituire i colori della primavera a quel sogno rattrappito. Quei gabbiani la cui ala perse l’ultima piuma, portata via dal vento il 4 aprile di undici anni fa.
Ho usato l’imperfetto, il tempo passato. Io che racconto i concerti scrivendo sempre al presente. Il qui, l’adesso, l’istantanea dell’emozione fissata su carta nell’attimo in cui essa stessa si imprime nel cuore come un vecchio sigillo su ceralacca rossa. Contestualmente ai suoni, alle immagini, alle vibrazioni di ossa e muscoli. Non è stato voluto, anzi sì: perché lo usiamo come alibi per giustificare ciò che non vogliamo ammettere, ma l’inconscio lo fa sempre apposta.
Le emozioni ci sono. Ma non sono le principali protagoniste del ritorno sulle scene degli Offlaga Disco Pax, a undici anni dallo scioglimento e a venti dal rivoluzionario debutto di ‘Socialismo Tascabile’. Perché quello di stasera è un concerto della “Memoria”. Tanto per cominciare quella di Enrico Fontanelli, del quale avverti la presenza in ogni respiro di Max Collini. La voce narrante della band lo ricorda lanciandogli un bacio in chiusura di ‘Tono Metallico Standard’. Niente clamori, niente eccessi. Senza l’insopportabile “populismo emozionale” un tanto al chilo, assai in voga sui social, che, diciamocelo, ha abbondantemente stracciato i coglioni.
Anche perché l’unico momento populista della serata è preannunciato dal frontman della band. «Affanculo fasci di merda» chiude ‘Sensibile’, laddove la storia sentimentale di Mambro e Fioravanti meglio non può sposarsi che con le atmosfere cupe e opprimenti del Rickenbacker suonato alla Peter Hook di Mattia Ferrarini e della chitarra ricca di flanger, delay e improvvisamente urlante di Daniele Carretti. Il dramma e la rabbia, l’amaro in bocca. Il silenzio assoluto in sala, rotto dall’improvvisa ilarità suscitata dal colpo di genio surrealista del parallelo tra l’ex Nar e Calenda, rovinati entrambi da troppa televisione.

La memoria, dicevamo. Mi piace pensare l’avvicinamento al concerto come l’approccio di un aereo alla sua pista di atterraggio. Quello di stasera aveva incontrato la turbolenza della notizia dello spostamento del concerto dei CCCP dal Circo Massimo alla Cavea dell’Auditorium. Con le reunion e gli amarcord ti va bene solo una volta. E il tour degli Offlaga Disco Pax, che da un mese abbondante sta collezionando un sold out dietro all’altro, festeggia proprio i vent’anni di uscita del già citato “Socialismo Tascabile”. Celebrazione festosa o commemorazione? Non potevo ancora saperlo.
Da lì pensieri e riflessioni come una slavina sul Pordoi. Considerazioni già fatte e già condivise, in passato. Hanno senso le operazioni nostalgia? Ha senso rivedere le nostre foto di 30 anni fa o più? Ha senso ancora raccontare come fosse bello essere comunisti a Reggio Emilia nel 1976 quando basta guardarci intorno e vedere la fine che abbiamo fatto? C’è una ragione valida e costruttiva che ci possa restituire il senso di ritrovarci in mille e più (sono due le date previste a Roma) sono due e far finta che non sia successo nulla? Abbiamo perso, questa è la realtà: «ci hanno preso tutto!»

Invece ha senso proprio per questo. Perché anche la Danone si prese i wafer cecoslovacchi ‘Tatranky’ dopo la caduta del Muro. È la storia della «nostra rapsodia boema», l’immobilità di Praga dei primi anni Duemila, quando un club sotterraneo, tra Samantha Fox e Nick Kershaw, si acclamava ‘Felicità’ di Albano e Romina. Invece qui al Monk, nel 2025, quegli stessi biscotti volano sul pubblico, e la musica è un diretto richiamo alla trilogia berlinese dell’ovest, non quella di Bowie ma quella in pieni anni Ottanta dei Depeche Mode.
Ha senso perché la mia vita cambiò dopo aver visto i Kraftwerk suonare ‘The Robots’ al festival di Sanremo del 1978. Passavo interi pomeriggi ad ascoltare “The Man Machine” sul Revox A77 che mentre scrivo è ancora qui alla mia destra, perfettamente funzionante. Chissà che suoni di batteria avrebbe avuto ‘Cinnamon’ se quel disco non fosse mai esistito. Forse le Big Babol o le Center Fresh non avrebbero bloccato la rivoluzione del popolo. E quel Sanremo era lo stesso di Rino Gaetano in smoking e Superga bianche e in cui una sedicenne, con la cresta da punk, una valigetta, un guanto nero sulla sola mano destra, fece parlare di sé tutta l’Italia: si chiamava Anna Oxa.
Ha senso perché per passare da Oxa a Hoxha, Primo Ministro dell’Albania dal 1944 al 1985, bastano solo due consonanti mute. In ‘Enver’ la poetica dell’assenza trova contraltare nelle chitarre alla Killing Joke, i synth alla Visage e una drum machine con cassa dritta. Ancora synth pop e new wave primi anni ‘80 nel racconto della vita dei giovani “alternativi” nella provincia emiliana in ‘Tono Metallico Standard’. Infine ha senso perché proprio Luca Giovanardi, quel “lurido clerk” citato nel pezzo, ha prestato alla band il furgone per andare in tour.
La presenza scenica di Collini passa nei gesti lenti e misurati, ma soprattutto nella mimica facciale. Ogni minimo cambiamento espressivo incide in modo determinante sulla qualità dell’energia che riverbera tra palco e pubblico. Musica e testi sono elementi fortemente caratterizzanti ed evocativi, all’inizio fatico nel percepire la performance come unitaria alla performance, quasi che la potenza dell’uno togliesse qualcosa all’altro, e viceversa. Ma dura poco.
Chi vorrà, un giorno, comprendere la quotidianità di chi è stato bambino prima e adolescente poi, tra il 1975 e il 1989, dovrà passare per forza dagli Offlaga Disco Pax. Le ragazze e i ragazzi presenti in buon numero stasera forse lo fanno già, mentre rivivono l’amore rivoluzionario, accompagnato da un tempo di valzer da balera emiliana appoggiato sui sintetizzatori di ‘Khmer Rossa’. Amplessi, Feste dell’Unità, passione e desiderio. Quando soltanto una donna poteva portarti a dubitare del socialismo.

Un paio di ciabatte de Fonseca, un tremolo della chitarra alla Radiohead, la malinconia dei Sigur Ros fanno da cornice alla banalità routinaria della fine di un amore. Il tributo pagato agli “antenati” (i CCCP) arriva con ‘Allarme’, ancora vita di provincia in ‘Piccola Storia Ultras’ e poi…
…poi Alberto Juantorena oro a Montreal nei 400 e negli 800, gil Space Invaders, le Prove Tecniche di Trasmissione, la Prinz, Zora la Vampira e potrei continuare a memoria. Perché ero un anno avanti e l’esame di seconda elementare lo feci soltanto un anno dopo Max Collini. Che di tutte le vite ora sta raccontando la mia, mentre Daniele Carretti e Mattia Ferrarini impazzano dietro moog, drum machine e sequenze in un’orgia synth pop che renderebbe felici e orgogliosi i Soft Cell di ‘Sex Dwarf’ e i PIL di ‘This Is Not a Love Song’, così come lo sono ancora oggi gli abitanti di Cavriago (RE) quando ricordano gli esiti elettorali di quegli anni: PCI al 74%, DC al 6
Ha senso allora tirar fuori tutto questo? Sì, se si riesce a trasformare la “nostalgia” in “Memoria”, come gli Offlaga Disco Pax dimostrano di saper fare. È la mia risposta, almeno per ora, mentre Max Collini scorre una lunga lista di ringraziamenti con alcuni nomi alquanto sorprendenti. O ha senso semplicemente perché il concerto aperto con la citazione di ‘Eptadone’ degli Skiantos è già da solo il miglior motivo per esserci stasera.
Forse Giorgio Gaber si è tenuto basso. Non era solo qualcuno, eravamo tutti comunisti e non lo sapevamo. Forse eravamo semplicemente felici e non sapevamo nemmeno quello. O non eravamo né l’una e né l’altra cosa. Ma stasera è stato bellissimo lo stesso.