Nuove Tribù Zulu: canzoni per i camminanti

La musica nomade e anarchica delle Nuove Tribù Zulu
In Auditorium la festa dei venticinque anni di “Sulla Strada”
Roma, 27 Marzo 2025 | Ph. © Giulio Paravani
A Roma, fino a quindici di anni fa, anzi qualcosa in più, c’era una piazza dove succedevano cose. Di giorno un mercato, anzi “Il Mercato”, che a passeggiarci sentivi le voce di Aldo Fabrizi e Anna Magnani. Si pranzava con la pizza bianca più buona di Roma e durante il periodo di carnevale le castagnole dello stesso storico forno stazionavano nei primi dieci posti della classifica dei piaceri della vita. A dire il vero ci stazionano ancora. Così come ancora ci trovi un cinema d’essai che resiste. A fargli compagnia una storica libreria indipendente aperta fino a notte inoltrata. Alle piccole librerie che resistono bisognerebbe fare un monumento. Non essendo uno scultore ne faccio il nome: Farenheit 451
Al centro, la glorificazione dell’Eresia. Il monumento a Giordano Bruno, là dove fu arso, che se lo guardi da dietro, nelle sere d’inverno ti sembra di essere a Praga. Neii primi anni Novanta, in un centro storico non ancora devastato piattaforme online di alloggio e ai ristoranti spenna-turisti, la sera a Campo De’ Fiori incontravi persone interessanti. Proprio sui gradini del basamento della statua del monaco di Nola, iniziò la parabola delle Nuove Tribù Zulu. Progetto dei fratelli Andrea e Paolo Camerini, usciti da poco dall’esperienza psychobilly dei Cyclone.
Dall’Eresia al nomadismo fu breve il passo. Quel luogo fu scintilla e impulso per le Nuove Tribù Zulu ad andar oltre lo stabilito e a mettersi in cammino. Non so cosa o chi riesca meglio a rendere l’idea del libero pensiero come una musica zingara, errabonda, anarchica. Che mischi i Balcani di Bregovic e Kusturica, le chitarre gitane della Camargue, con i suoni di Cuba, lo ska e il punk. E, dopo averlo fatto, che porti il verbo in giro per il mondo. Nove anni tra teatri, piazze, vicoli e strade; poi il primo disco. Il titolo venne da sé: “Sulla Strada”.
Le Nuove Tribù Zulu festeggiano stasera i venticinque anni del lavoro. Accanto ad Andrea e Paolo Camerini, voce e contrabbasso, troviamo Ludovica Valori, polistrumentista, colonna degli Ardecore, che dispensa talento alla fisarmonica, al trombone, al piano. A far loro compagnia sul palco dell’Auditorium si aggiungono Mario Caporilli alla Tromba, Francesco Pradella alla Batteria, Marco Massino alle chitarre e dulcis in fundo Sarah Paroletti alle danze.
Sono giravolte intorno al pianeta, quelle delle Nuove Tribù Zulu, a seguire percorsi senza apparente criterio logico. Perché il viaggio non ne ha, se non quella dell’incontro, della scoperta e della sperimentazione. ‘Per Un Giorno di Poesia’ è jazz latino-americano. Una chitarra “grattata”, un piano e una tromba che dai Balcani vola sopra gli oceani e atterra a L’Avana. Mentre nella cantabilissima ‘L’Uomo Rettile’ spiccano la timbrica e la vocalità cantautorale di Andrea Camerini
A cambiare nuovamente le carte in tavola, in ‘Da Domani Cambio Vita’, arrivano le barre di Mc Shark, primo rapper in lingua italiana, già nominato da Africa Bambaataa membro della Universal Zulu Nation Funk Family. Ma anche lo ska-punk elettrico, tirato a tutta di ‘C’è Solo Amore’; o i cavalli della Camargue, con i suoni alla Negrésses Vertes e la danza di Sarah Paroletti di ‘Canto Gitano’.
La musica popolare italiana si prende il suo spazio con ‘Sulla Strada (Tarantafuzz)’ e ‘Da Bocca a Orecchio’. Traccianti di luce bianca nella sala, Andrea Camerini arringa la folla con un megafono. Forse potrebbe osare anche di più, perché alcune ragazze ne approfittano per buttarsi nello spazio antistante il palco e ballare. Pubblico che dimostra ottime capacità canore nell’outro dello ska-balcanico ‘Sono un Camminante’. Quando il tempo rallenta fino a diventare reggae, la melodia della voce segue una scala cromatica discendente e gli spettatori fanno altrettanto fino al “pianissimo” finale, preludio a un pirotecnico “forte” di tutti gli strumenti.
Musica da ascoltare sincronizzando il ritmo del respiro con le movenze della danzatrice e abbandonandosi al libero fluire di emozioni e pensieri. È Shiva a condurre la danza di creazione, distruzione e preservazione dell’Universo. Quella danza che, per i fisici moderni è la massima e migliore rappresentazione del movimento delle particelle subatomiche. O del nostro peregrinare nella vita, come «gocce tra le gocce che tornano all’oceano». Oppure librandosi nell’aria, come da titolo del pezzo con cui si accomiatano e in cui fiati squillanti, brillanti e irriverenti rendono appieno lo spirito dei buskers, .
Ma la reale dissonanza non è nella musica stasera. È l’incongruenza tra ciò che ascolto e ciò che vedo intorno a me. La composta, austera e rigorosa istituzionalità di una sala di Auditorium. La musica delle Nuove Tribù Zulu è voce e vita di persone e popoli che vivono sulla strada; manifesto di chi vive l’arte libera da regole codificate e senza limiti di tempo e di spazi.
Ma di luoghi deputati alla musica di strada ce ne sono sempre meno. Anzi, a Roma non ci sono mai stati. E allora se c’è qualcosa che forse è mancata stasera è proprio l’irregolarità: il sudore, la polvere, le urla scomposte, la gente in piedi a ballare. Tutti, non solo i più disinibiti e coraggiosi.
In una parola sola: la strada.