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Mòs Ensemble: la sperimentazione che viene dalle Fiandre

Jazz, post-rock, punk, ricerca e improvvisazione nella data romana dei Mòs Ensemble

Al 30 Formiche convince la formula del collettivo belga

Roma, 4 marzo 2025

Un paio di partite della Roma e un’importante Università, centro nevralgico delle ricerche nell’ambito della psicologia della personalità. Prima di conoscere i Mòs Ensemble, la Città di Gent, nelle Fiandre belghe, era entrata nella mia vita per questo

È al conservatorio della città a una trentina di chilometri da Bruges, nasce il progetto musicale che sta per salire sul palco del 30 Formiche di Roma. Nucleo attrattivo primario è, o dovrebbe essere stato, il bassista Kobe Boon. Parte da sempre integrante della formazione è una nostra cara conoscenza: Marta Del Grandi, che in questo conservatorio frequentò il biennio di studi jazz e che volle i suoi compagni di avventura come musicisti nelle registrazioni di “Selva”. È lei stessa che fa gli onori di casa stasera, a poco più di un mese dal suo concerto sul palco del Monk.

Ritrovo il 30 Formiche come lo avevo lasciato una decina abbondante di anni fa. Non è la stessa la mia claustrofobia, il lavoro sul lettino ha dato i suoi frutti, e riesco con agilità e leggerezza a sostenere la mia presenza nella caverna che da angusta che era, è oggi diventata evocativa e suggestiva.

Se la formazione dei Mòs Ensemble contempla la presenza di otto musicisti, davanti a me stasera ne vedo solo sette. A mancare dovrebbe essere Ambroos De Schepper al sax. La sua funzione, in un paio di brani, è assolta da Benjamin Hermans, che si occupa anche del clarinetto e del synth. Completano la formazione Astrid Creeve voce, Roos Denayer voce e chitarra, Artan Buleshkaj chitarre, Simon Raman batteria. Di Kobe Boon e di Marta Del Grandi si è già detto.

Mòs Ensemble
Mòs Ensemble

Davanti a loro, rivolte verso il pubblico, le maschere raffiguranti quattro animali, presenti sulla copertina di “Pets & Therapy”. È il loro ultimo album dal quale saranno tratti i brani che suoneranno tra poco. Sala piuttosto affollata, difficile distinguere clienti abituali, fan di Marta Del Grandi e chi non appartiene a nessuno dei due gruppi, ma è qui spinto dalla curiosità di scoprire una nuova band.

Se nella vita sei stato un aspirante musicista e hai attraversato la fase maniacal-feticista, ci sono cose che non possono fare a meno di attirare la tua attenzione. Stasera ne ho davanti tre: un basso Hofner, una chitarra a scala corta, un ampli Supro. Uniformiamo le conoscenze. La scala di una chitarra è la distanza che separa capotasto e ponte. Il Supro è l’ampli usato da Jimmy Page per le registrazioni del primo disco dei Led Zeppelin. Se, invece, avete bisogno di sapere cose sul basso Hofner fate prima atto di pentimento e contrizione.

Mòs Ensemble: Pets & Therapy

La musica dei Mòs Ensemble è percorsa da un’idea fondante che possiamo chiamare in tre modi: sperimentazione, esplorazione, ricerca. Il risultato è la fusione di diverse anime sonore. Il lavoro sulle dinamiche è rimarchevole e non sorprende, avendolo ritrovato anche nelle canzoni di Marta Del Grandi. Si impone la raffinatezza e l’ardire della tessitura delle voci. Il loro “forte” su un cluster armonico al termine del primo pezzo arriva direttamente tra stomaco e cuore. Mi chiedo se le parti vocali siano tutte scritte o se sia lasciato spazio aperto all’improvvisazione. Probabilmente sì, ma la domanda resterà parzialmente in sospeso.

Molto della loro musica è tessitura. Anche uno strumento come la batteria ha la funzione di creare un tappeto, un’ambientazione, mescolandosi insieme alle frasi della chitarra elettrica, agli arpeggi della chitarra classica, alle carezze del clarinetto. Ascolto ‘Red Turtle’ e immagino i Black Country New Road che virano con decisione verso il jazz e la sperimentazione.

Non solo jazz. Tempi in sette insieme a battimani spagnoleggianti. L’elemento latino conferisce alla musica maggiore accessibilità, rendendola più facile da seguire con il corpo. Momenti melodici e diatonici cambiano progressivamente pelle per aprire lo spazio alla sperimentazione. La struttura abbandona qualsiasi forma per aprirsi a spazi d’improvvisazione che rimandano ai momenti più arditi dei King Crimson di ‘Moonchild’.

Mòs Ensemble

I Mòs Ensemble si spingono oltre. L’entrata del sax tenore, il crescere delle dinamiche e la maggiore aggressività della chitarra elettrica restano in orbita della band di Robert Fripp del periodo di “Red”. Accostamento impegnativo, o azzardato, ma decido di condividerlo e non tenerlo per me. Parole che vanno contestualizzate, ma che, a mio giudizio, hanno ragione d’essere.

Quando penso di averli inquadrati, mi si ribalta di nuovo la prospettiva. ‘What I Meant’ versa tutti gli ingredienti di cui abbiamo detto finora e li shakera con vigore nel contenitore del punk. Una gran botta, voci ai limiti del grido, sax tenore allucinato sotto. La lezione di John Zorn e dei Sonic Youth è stata ampiamente elaborata.

Se Thurstone Moore avesse avuto a disposizione tre voci femminile di formazione jazz probabilmente avrebbe tirato fuori qualcosa di analogo. Cambi di tempo da quattro a sette si susseguono con fluidità, il sax tenore protagonista e una netta chiusura vocale dalla quale spunta per un secondo il jazz-pop di un quartetto vocale che non cito ma che ci ricorda un borough di New York.

Nella musica dei Mòs Ensemble trovano anche spazio atmosfere post rock. Sonorità simil Stereolab convivono con interventi delle voci che, apparentemente fuori da ogni tonalità, si inseguono spiazzanti come tre palline di un flipper. Il bis finale, richiesto da acclamazione collettiva, è un trionfo in cui parti vocali eteree, lasciano spazio a un clarinetto che compie le sue evoluzioni sospeso nel nulla di una base rumoristica appena accennata e di una chitarra fuori tonalità. Ancora incastri vocali e nuovamente la batteria in sette concludono alla grande una serata.

Il mio ritorno al 30 Formiche non poteva essere dei migliori. Esistono ancora isole incontaminate nella musica, con un pubblico curioso di scoprire novità, selettivo negli ascolti, e capace di emozionarsi profondamente. Esistono spazi deputati all’insegnamento accademico della musica, aperti all’innovazione, alla sperimentazione. Dove i progetti artistici giovanili sono incoraggiati e, almeno all’inizio, anche sovvenzionati.

Ma stanno in Belgio.

 

Instagram: mosensemble

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