Mogwai live a Milano: la nostra festa non deve finire

27 ottobre 2017: una data importante per i fan italiani dei Mogwai, perché al Fabrique di Milano va in scena il primo di tre concerti italiani del gruppo scozzese icona del post-rock.
Ma nemmeno per i Mogwai si tratta di un giorno qualunque, poiché giusto vent’anni fa, il 27 ottobre del 1997, veniva pubblicato “Mogwai Young Team”, il loro primo disco.
Tutto è pronto dunque per la festa, con due decenni di carriera e dieci album totali sulle spalle, l’ultimo dei quali, “Every country’s sun”, fresco di un paio di mesi.

Prima di loro vediamo passare sul palco in veste di apertura le Sacred Paws, una band britannica interamente al femminile, un po’ duo e un po’ trio a seconda della presenza della bassista che sposta gli equilibri: si va da pezzi brevissimi e leggeri, chitarra e batteria, che richiamano il pop elaborato in stile The Magnetic Fields, a suoni allegri e giocherelloni a ritmo sostenuto che ricordano i Vampire Weekend. In generale, la divertita esibizione delle Sacred Paws, piuttosto lunghetta a dirla tutta, è esattamente agli antipodi di quel che ci aspettiamo dai Mogwai che stanno per arrivare, in termini sia di sonorità, sia di tempo e lunghezza dei brani.

09 - Sacred Paws - Milano MI - 20171027

Dicevamo, per i Mogwai questa serata è un po’ un compleanno, importante e tondo nella cifra.
Come iniziamo la festa?
Con una canzoncina, ovviamente, ma la classica “Happy Birthday” non si addice molto.
E allora si attacca con ‘Mogwai fear Satan‘, ultima traccia proprio di “Mogwai Young Team”, un pezzo che dura un quarto d’ora e che viene vissuto in completa apnea.
Sul fondo la sola batteria, gli altri quattro si schierano davanti perfettamente allineati, alzando il muro di suoni, facendolo scendere di botto, ipnotizzando il pubblico che nel passaggio quieto di mezzo se ne sta in religioso silenzio in attesa dell’esplosione.

14 - Mogwai - Every country's sun - Milano MI - 20171027

Questo era solo l’inizio. Arriva subito ‘Party in the dark‘, pezzo apripista del disco nuovo, che al confronto suona come un pezzone melodico, senza nulla voler togliere a un brano ben riuscito e che non risulta per niente ostico. Addirittura con ‘Cody‘ raggiungiamo quota due pezzi di fila caratterizzati da una traccia vocale consistente, una sorta di abuso di cantato per i Mogwai. Quando suonano a tre chitarre più il basso, la barriera di suoni è imponente, anche se sembra mettere un po’ alla prova l’impianto con le diverse linee che tendono a sovrapporsi rendendole difficili da distinguere.

La tendenza che i Mogwai hanno è quella di dare un suono corale ai brani più vecchi, mentre nei pezzi nuovi si riescono a leggere e a seguire le diverse partizioni. La dinamica risiede tutta nei cambi di ritmo, che fanno da motore e al tempo stesso da volano dell’esibizione, come se ci fosse una manopola invisibile con la quale alzare ed abbassare volume, ritmo e intensità a piacimento, senza mai cedere nulla in termini di pathos.

10 - Mogwai - Every country's sun - Milano MI - 20171027

Rano Pano‘ è un loop che non ha mai fine, un inesorabile crescendo ipnotico. ‘2 rights make 1 wrong‘ deriva su un suono pieno, caratterizzato dai bassi che invadono il palco, accompagnati da luci fredde e robotiche, quasi meccaniche. Nemmeno il tempo di chiedersi a che punto siamo e arriva l’ultimo pezzo, una ‘Old poisons‘ che i Mogwai prendono dal disco nuovo e usano per una chiusura davvero portentosa. C’è spazio anche per un breve encore, che forse non è così breve ma siamo noi che abbiamo una percezione distorta del tempo (che ricordiamo vola, quando ci si diverte). Due pezzi soli, una progressione in salita con ‘Every country’s sun‘ e il finale grevissimo e brutale di ‘We’re no here‘.

Certo che dopo il concerto ci si trova a fare la conta dei pezzi che sono mancati, ma è anche vero che per i Mogwai aggiungere due o tre brani in scaletta significa fare poi notte fonda. Quello che conta è che abbiamo fatto festa, in modo rumoroso ed emotivamente carico, e che aspettiamo un altro compleanno dei Mogwai per festeggiare di nuovo tutti insieme.


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Matteo Ferrari

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Nato nel 1984 nell'allora Regno Lombardo-Veneto. Un onesto intelletto prestato all'industria metalmeccanica, mentre la presunta ispirazione trova sfogo nelle canzonette d'Albione, nelle distorsioni, nei bassi ingombranti e nel running incostante.

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