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Mezzosangue

Mezzosangue: un doppio compleanno da celebrare

Rap e brindisi al Monk

Un live per festeggiare i dieci anni di “Soul Of a Supertramp” e i trentaquattro del rapper di Cinecittà

Roma, 22 Gennaio 2025

Ira, Invidia, Accidia, Superbia, Lussuria, Avarizia, Gola: due di loro sono mio nutrimento, di altri tre navigo i mari e percorro i sentieri, beandomi dei panorami che sanno regalarmi. Fino a stasera ne lasciavo per strada un paio. Poi parcheggio la macchina davanti all’entrata del Monk, dove Mezzosangue ha scelto di celebrare sia i dieci anni dell’uscita di “Soul Of a Supertramp”, sia i festeggiamenti per il suo trentaquattresimo compleanno, e qualcosa cambia.

Il concerto, annunciato improvvisamente la scorsa settimana, ha mobilitato la sua fedele e appassionata fanbase e la serata è andata soldout in poche ore. Che sia diverso da quelli ai quali sono abituato a presenziare lo capisco subito. Il dispiegamento delle persone addette alla sicurezza è più simile a quello che si può trovare nelle discoteche del sabato sera che ai concerti di alternative rock, compresi quelli di black metal.

Sebbene l’artista romano sia distante, per testi e atteggiamenti e spessore artistico, da certo (t)rap, e richiami di conseguenza un pubblico che condivide il suo messaggio, gli organizzatori hanno ritenuto opportuno non lesinare in termini di prudenza. I filtraggi iniziano già sulla strada al primo ingresso del locale, e la coda per entrare si forma ben prima delle 21, ora dell’apertura porte. Proprio là dove inizia a germogliare il seme della mia invidia.

Mezzosangue

Quella di Mezzosangue è una tribù e io, pur apprezzandolo artisticamente, ne sono escluso, non solo per ragioni anagrafiche. Davanti a me scorre un film che mi racconta della necessità dei giovanissimi di recuperare una dimensione collettiva dell’ascolto della musica. Un tentativo di recuperare centralità nella formazione della loro coscienza generazionale, demandata oggi nella maggior parte dei casi ad altre esperienze. O forse a nessun’altra esperienza. L’ultimo appiglio è il rap. Un linguaggio comune, ma che per formazione, cultura e gusti non mi appartiene. Pochi giri di parole: un po’ mi rode il culo, lo ammetto.

Pensieri inutili. Una birra in sala ristorazione, nelle casse la playlist suona i Police. Una blanche al volo e poi in sala concerti, per l’opening affidato a Dj Baro, storico beatmaker, producer e dj del Colle Der Fomento. Ha il compito di scaldare una sala che si riempie sempre più. Suonano barre di In the Pankine, Inoki, Primo Brown, Taxi B, Club Dogo, Onyx e così via, che senza troppe difficoltà fanno salire la temperatura delle ragazze (tantissime) e dei ragazzi che attendono l’epifania del loro idolo. Nota a margine: con l’età media bassissima, io che faccio qualche video e butto appunti sullo smartphone potrei essere scambiato per uno della D.I.G.O.S.

In un’atmosfera da ultimo dell’anno, poco dopo le 22, Luca Ferrazzi, a.k.a. Mezzosangue, appare ai fan nelle sue ultime ore da trentatreenne. Entrata semplice, senza particolari fanfare. È accompagnato alla batteria dal fedele G-laspada, responsabile delle produzioni di “Musica Cicatrene”, uscito lo scorso anno vestito da LP. Ma stasera la sequenza dei brani è, in tutto e per tutto, quella di “Soul Of a Supertramp”, l’altro festeggiato della serata.  Apre con ‘Armonia e Caos’ e chiude il primo pezzo con l’abbraccio a Dj Baro.

Mezzosangue

 

Colpa del passamontagna o dell’energia che mette nella performance, il fiatone arriva già dopo ‘Out of My Mind’, terza canzone in scaletta. O magari dell’emozione di ritrovarsi protagonista dei festeggiamenti di due compleanni con un concerto deciso e provato in pochi giorni. Celebrazioni che in alcuni momenti sembrano limitare, imbrigliare la performance del rapper, forse smussandone l’impatto di un’immediata spontaneità, che stasera mi sembra passare attraverso il filtro di una ritualità e di codici di interazione con il pubblico predeterminati.

Mi spiego meglio: assisto a una performance di Mezzosangue per la terza volta in un anno e mezzo. La prima volta è stata all’edizione 2023 dello Sziget. Mi fece un’ottima impressione, non soltanto sul palco. Lo intervistai, lo vidi esibirsi, ne scrissi e lo potete leggere qui. Stessa cosa sei mesi fa, sul palco del Superaurora. Produzioni, profondità, pregnanza e impegno dei testi, coerenza, integrità e generosità nel donarsi ai fan sono sempre quelle che ho apprezzato. Ma stasera ho la stessa sensazione di quando vai alle feste di compleanno e sai già cosa accadrà al momento della torta. Ma ai fan questo non importa: si sta qui per atto di fede, anzi no, d’amore. Giusto così.

Potrebbe essere una mia naturale idiosincrasia ai festeggiamenti comandati o al sentire ogni 5 minuti urlato il nome della città in cui si tiene il concerto. Forse dipende dalla non appartenenza alla tribù che stasera si fa sentire, diversamente da quanto accaduto nelle precedenti occasioni, con un pubblico da festival necessariamente più eterogeneo. O anche il non godermi il concerto dalla transenna o dal sottopalco, è il conseguente aumento della distanza emotiva percepita da quanto stia avvenendo.

Grazie a questo distacco mi accorgo, tuttavia, di come il concerto prenda vita e forma nella diade artista – pubblico, che contribuiscono con eguali meriti alla sua riuscita. Mezzosangue sa intercettare e tradurre in barre e beat timori, inquietudini, turbamenti, conflitti e rabbia di una generazione, senza scadere nel nichilismo e nello sfogo (auto)distruttivo fine a sé stesso. «Restate sempre in ascolto, in un mondo che distrae» al termine della title track del disco festeggiato e «Fate luce, sempre in ogni modo» prima di ‘Nevermind’, uno dei bis, sono le sottolineature che regala al suo “popolo”.

 

Mezzosangue
Mezzosangue

Da un punto di vista strettamente musicale il live funziona. G-laspada alla batteria mi fa sorridere pensando a quanti preconizzavano la scomparsa di meccaniche e pelli vantaggio dei preset e delle programmazioni. Se solo riuscissi a vederlo (la solita “adorata” nebbia del Monk) e non solo ad ascoltarlo. Mi chiedo come sarebbe il live set reinserendo chitarre e tastiere come fu allo Sziget; o addirittura portando un’orchestra intera come avvenne in passato in altre situazioni. Ma forse il budget ha le sue ragioni che, purtroppo, l’arte spesso fatica a comprendere.

"C'è un leone a terra, sangue e segaturaGli animali in gabbia esplodono di rabbia sotto serraturaIl pubblico applaude la pecora infame che ora pascolaMangia nel circo con le amiche schiaveIl pubblico ha paura e il circo butta via il leoneIn campo ha quattro foche che si passano un palloneÈ fatta, il pubblico sorride, sembra più feliceE anche le macchie di quel sangue sembrano sparite"

Si passa da momenti fiammeggianti, come nel caso di ‘Out Of My Mind’, con il pubblico che si accovaccia per poi saltare all’attacco del pezzo, o alla rabbia di ‘Senza Dio Né Stato’ in cui adatta il testo ai tempi recenti e approfitta della rima inalterata, sostituendo l’attuale Capo del Governo al precedente, al Mezzosangue più intimo e malinconico di ‘Circus’, metafora circense di una società tossica con arpeggi di chitarra a sostenere le sue barre. Non fa sfoggio di tecnica per stupire con effetti speciali, l’unico extrabeat fa capolino durante ‘Touchè’ ed ha vita breve. Amore e dolore, binomio indissolubile, sono i protagonisti di ‘Parlami’, l’appello di un uomo e della sua solitudine, abbandonato perfino dai beat e dalla batteria.

Finisce con torce e gli accendini a fare luce durante ‘Nevermind’ e con i battti di mani del pubblico fuori tempo dopo pochi secondi, testimonianza di quanto l’educazione musicale nelle scuole continui a latitare. Rientra per un ultimo bis ed è nuovamente ‘Diventa Quello che Sei’ e le predominanti timbriche femminili tra il pubblico che canta. Poi colpo a sorpresa: appuntamento nel cortile fuori dalla sala concerti, per salutarlo e brindare a prosecco e festeggiare con bombe alla crema e al cioccolato. In tempi di comunità virtuali un gesto che pesa. Centinaia di bicchieri e cartoni di pasticceria. Ce n’è per tutti, offre Luca Ferrazzi o, se preferite, Mezzosangue, trentaquattro anni da un minuto.

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