Macy Gray live a Padova: un concerto sotto tono

Nel suo bagaglio professionale troviamo 5 nomine ai Grammy Awards e collaborazioni ben riuscite con artisti come Pharrell, Ariana Grande, Justin Timberlake, Zucchero.
Sto parlando di Macy Gray, star indiscussa dell’urban soul internazionale.

Dopo quasi 6 anni di assenza dalla scena italiana,  il 12 marzo il Gran Teatro Geox è pronto a celebrare il ritorno di Macy Gray in una delle 4 date sul territorio.
L’attenzione è tutta per “Stripped”, l’ultimo ambizioso lavoro in studio con cui l’arista propone i suoi grandi successi e alcune cover, il tutto rielaborato in arrangiamenti più jazz, più esplorativi, più..  ecco, “più” è la parolina giusta, ma nel senso puerile del termine – come quando da piccoli volevamo dire «finito, non ce n’è più». Un’affermazione triste, come la mia sensazione nel rivedere Macy Gray, ma andiamo per ordine.

Già all’ingresso del Gran Teatro Geox si nota un pubblico misto.
Nonostante siano presenti diversi giovani, l’età media sembra alta, segno di una carriera artistica ormai ben consolidata negli anni. Le sedute sono quasi al completo, ma il concerto si fa attendere, iniziando alle 21:40, con più di 20 minuti di ritardo e grande insofferenza da parte della sala.

Sul palco primeggiano quattro lampade in stile bon-ton, uno sfondo che richiama il nome dell’album, niente di più.  In scena Billy Wes (tastiere), Caleb Speir (basso), Tamir Barzilay (batteria), Jon Jackson (synth e sax) ed una graffiante Macy, fasciata in fantasie colorate abbinate in modo apparentemente casuale.

L’ingresso sulle note di ‘Relating to a Psychopath‘ è lento, le parole trascinate, la batteria quasi copre la voce. Diversi i monologhi, alternati dal proverbiale «c’mon!» ripetuto fino allo stremo.
Questo è il mood della prima ora, finchè Macy non scompare dal palco per farne capolino nuovamente poco dopo, magicamente rifocillata ed energica, avvolta in uno sfavillante abito da sera.

La ripresa è affidata a ‘Why Didn’t You Call Me‘, ‘Do Something‘, ‘Caligula‘ e ‘I Try‘, successi di un ventennio ormai andato ma che nonostante tutto ancora vincono il confronto con le successive produzioni.
Macy invita il pubblico ad alzarsi dalle sedute e a ballare liberamente, e l’invito viene accolto positivamente con l’aggiunta di cori e applausi da parte dei presenti.

Una nota di merito va sicuramente ai tastieristi, Jon Jackson in particolare fa notare la sua presenza alternando abilmente i synth al sassofono e una piccola melodica.
Le luci mal vestono i momenti meno schematici della performance e tutto sembra ridotto all’essenziale, il che può sottolineare grandezza e personalità laddove presenti – oppure, può rivelarsi una scelta penalizzante quando l’artista è un po’ sottotono e da solo non si basta.
Sulle note di  ‘My Way‘ il palco si svuota lasciando i presenti a chiedere con insistenza un “bis” non concesso.

Sarà che le aspettative erano alte, ma anche altri intorno hanno storto un pochino il naso sulla qualità e la durata della performance.
Per ora ci si congeda con un po’ di delusione, ma vista la grinta e le abilità che hanno contraddistinto Macy Gray negli anni resto speranzosa, in attesa di una grande ripresa.

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