Sergio Leone con una Gibson: spaghetti western rock a Tallinn con i Rival Sons

In Estonia le temperature oscillano tra -5° e 2° e l’inverno baltico è ormai alle porte, con gelo annesso.
Ringrazio e accendo un cero al dio del rock però, evidentemente sensibile alle umane sofferenze per cause meteorologiche, per aver condotto a Tallinn i Rival Sons.

La band californiana ha regalato uno spettacolo a cui poche volte ho assistito nella mia per-ora-breve vita di universitario quasi ventunenne; e sai che è così, perché quando fino alla sera successiva hai ancora nelle orecchie il suono anche di canzoni mai sentite prima d’ora, di certo non si può dire che la colpa sia dei decibel.
Sulla pagina dell’evento leggo che la durata dello spettacolo sarà di quattro ore, con apertura porte alle 19.
Mi faccio una risata e mi dico “sì vabè, alle undici sarò già a casa a farmi un tè caldo per riprendermi dal gelo”: mai stato così contento di sbagliarmi.

Arrivo al Rock Cafè il 26 novembre con qualche minuto d’anticipo per studiare fotograficamente la situazione, ma senza ritardi o ulteriori attese ecco arrivare sul palco un ragazzo alto, magro, con una chitarra; da solo.
Scusate, sta per esibirsi una band classic/blues rock e fate aprire il concerto ad un solista?
Unica perplessità della serata, immediatamente smentita dalla potenza della voce di Jameson, californiano, amico dei Rival Sons, che offre al pubblico già presente uno spettacolo non indifferente.
Il ragazzo ha talento, consigliamo fortemente un ascolto al suo ultimo album per la domenica pomeriggio o quei momenti di indecisione serale, quand’è troppo presto per andare a letto e troppo tardi per uscire.
Ottimo artista, anche molto disponibile, con cui ho l’occasione di scambiare addirittura due parole in italiano dopo aver scoperto che la sua ragazza è marchigiana: misteri dell’amore e della geografia. (Amen, a scanso di equivoci)

Sono le 21.15 e arriva il momento più atteso della serata.
Parte la colonna sonora de Il buono, il brutto e il cattivo del maestro Sergio Leone (100 punti a Grifondoro per la scelta) e la band entra in scena. Si parte col botto, si capisce fin da subito che sarà una serata impegnativa per il gruppo. La voce di Jay Buchanan comincia a ruggire nella hall del Rock Cafè fin dalle prime battute e… come descriverla? Una voce d’altri tempi.

Tempi di rock nudo e crudo, tempi di assoli lunghissimi, tempi di riff entrati nella testa anche di chi quegli anni non li ha vissuti. Classic rock di alta qualità. Forse i Rival Sons peccano un tantino di originalità, ma se l’obiettivo è la riproposizione artistica e costruttiva, siamo assolutamente sulla lunghezza d’onda giusta. Direi che siamo davanti a una vera e propria contaminatio, nel senso terenziano del termine: artisti che attingono da un ricco serbatoio sì pre-esistente, ma in grado di creare a loro modo qualcosa di nuovo, complice in questo caso la commistione tra riff pesanti, blues e un certo odore di calura e polvere da campagna amara del centro-sud degli Stati Uniti.
Una dimensione a metà tra gli spaghetti western e le piccole parrocchie della provincia americana, dai cui predicatori Buchanan avrà sicuramente preso parte della gestualità (azzeccatissima) che mette in scena sul palco.
I Rival Sons si esibiscono in uno spettacolo intenso e coinvolgente dalla prima all’ultima canzone, alternando momenti di pura aggressività rock (Secret, Pressure and Time) a fasi più calme e riflessive, quasi romantiche – splendidi i sei/sette minuti di Where I’ve Been, in cui ho rimpianto di non essere in dolce compagnia.

Passano così quasi due ore (esatto, DUE) di emozioni e di headbanging in cui ho avuto la possibilità di assistere a un concerto degno di essere definito tale: intenso, della giusta lunghezza, ben strutturato nella scaletta, con una band strettamente a contatto col suo pubblico (e viceversa).
Ho ancora nella testa la voce di Buchanan, le scale e i baffi di Scott Holiday e gli assoli alla batteria di Mike Miley quando prendo l’ultimo tram per tornare verso casa.
Great Western Valkyrie nel profondo nord-est dell’Europa, a scaldare i cuori di una città, con l’adrenalina in corpo e una ‘buona notte’, per forza di cose, ancora lontana.

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