Il menestrello livornese per eccellenza: Bobo Rondelli live a Firenze

Una manciata di mesi addietro una notizia ha catturato la mia attenzione: partirà dall’ObiHall di Firenze, il 24 marzo, Come i Carnevali, il nuovo tour di Bobo Rondelli che prende il nome dell’ album in uscita per Picicca Dischi e distribuito da Sony Music.
Marzo è giunto, e noi Oche non ce la siamo sentita di mancare.
Oche rappresentate dalla mia persona, una persona che ha visto Bobo più di quanto lo abbia ascoltato.

Non si può parlare di Bobo Rondelli senza fare chiari riferimenti geografici: Toscana, appunto – ma noi toscani, si sa, siamo campanilisti.
E allora è un po’ troppo vago dire “Toscana”: con Rondelli è di Livorno che si parla, e lui ne è il massimo esponente.
Sarebbe interessante a questo punto aprire una parentesi sul concetto di livornesità, ma la città in questione io la guardo con gli occhi della spettatrice, dall’ irrilevante porzione di una provincia limitrofa.
Per capire Livorno bisogna infatti andare a Livorno, oppure ad un live di Bobo Rondelli, e a confermarlo sono i livornesi stessi.
E’ quello che ho fatto io, più volte, negli anni.
Perchè Bobo è una certezza, un personaggio eccentrico e poliedrico capace di trasformare i drammi della provincia in poesia e di farti passare dal riso al pianto senza fartene rendere conto.

Ma veniamo a questa tanto attesa prima data del tour.
Armata di attrezzatura fotografica mi dirigo verso una delle più grandi sale concerto di Firenze, piena di curiosità e con mille interrogativi che mi ronzano in testa.
Trovo parcheggio nei pressi del locale con straordinaria velocità, e la cosa mi insospettisce: quello che ancora non sapevo è che successivamente sarei rimasta imbottigliata, proprio in quella strada, a causa dei mezzi degli altri avventori.
Superati i controlli di sicurezza alla cassa accrediti mostro il pass ed entro all’ObiHall.
Nell’ atrio due signorine sorridenti smistano il pubblico tra parterre e platea, e tutta questa affettata pomposità inizia a sembrarmi stridente.
A tranquillizzarmi è l’angolo con il marchandising, uno scarno tavolino del bar sul quale è esposto in triplice copia il nuovo album Come i Carnevali.
Prendo postazione nel pit, sempre un po’ stranita da questo presunto divismo che sembra essersi creato, chiedendomi quale sia la direzione intrapresa dall’ artista, sempre che di nuove direzioni si possa parlare.
Ad aprire la serata Lucio Corsi, new entry della famille Picicca.
Corsi è un cantautore maremmano emigrato in quel di Milano: conquista immediatamente i presenti con i suoi testi ironici, accompagnati da una chitarra e, come da lui specificato, dalla mancanza di una cassa che noi non avremmo dovuto immaginare.
Nelle sue canzoni si descrivono paesaggi, grattacieli che sostituiscono alberi a cui dare un senso, personaggi stravaganti e altre cose improbabili e liberamente interpretabili.
A colpirmi maggiormente è stato il suo sentimento di ribellione nei confronti di un male che affligge i nostri giorni, da generazioni: la tuta dell’Errèa.
O Erre-a.
Se qualcuno non ha capito di cosa sto parlando, ritenetevi persone estremamente fortunate.
Corsi comunque ci sa fare, lo si evince dal riscontro di un pubblico prevalentemente maturo che lo ascolta, coinvolto e divertito, con un’ attenzione che non va mai scemando.

Dopo un rapido cambio palco e una sequela di  «’Gnamo Bobo» e «Fooòri-fooòri-fooòri!» (perché si sa, noi toscani con le lettere facciamo economia), sul palco arriva Lui, e l’ atmosfera, fortunatamente è quella di sempre.
Non siamo in una Casa del Popolo o ad una festa dell’ Unità come consuetudine da queste parti, ma su quel palco c’è lo stesso Bobo che parla delle stesse cose di sempre: le sue.
Strimpellando l’ukulele, Rondelli, intona canzoni di una lacerante profondità che non può fare a meno di introdurre con sardonica ironia, canzoni che parlano di tutti quei personaggi e quei frammenti di vita quotidiana che solo una personalità acuta può essere in grado di valorizzare e tramutare in immagini oniriche.
Le chitarre si susseguono nelle mani del cantautore: acustica, classica, elettrica.
Si comincia dal folk di Carnevali, brano d’ apertura del disco, per ritrovarsi nelle sonorità rock di Autorizza papà, e in quelle più distese di Nara F., una ninna nanna delicata e straziante dove la voce profonda di Rondelli la fa da padrone.
Presenti all’ appello vecchie perle come Non voglio crescere in più, in grado di far scatenare anche il più reticente dei presenti, Marmellata che parla di una malinconica e perduta spensieratezza, Hawaii da Shangai, il racconto di vite che si intrecciano diventando complementari e che a volte si spezzano prima di poter vedere quei mondi soltanto immaginati.
In mezzo all’ arcobaleno di note che lo accompagna, Bobo ruggisce sul palco divorandolo grazie alla sua naturale presenza scenica, intrattenendo il pubblico con questa sua stravaganza tipicamente livornese, quella stravaganza che cercavo di spiegare precedentemente, che esula dalla creazione di un personaggio, ma che è piuttosto avvalorata da un concetto sostanziale di fondo che suona più o meno come ‘m’ importa una sega, a me’.
Il nuovo disco, scritto in parte con Francesco Bianconi dei Baustelle, che ci siamo ovviamente procurati, è un viaggio emozionante pieno di riferimenti cinematografici e letterari dove i più disparati generi musicali si intrecciano rendendo difficile una classificazione.
Troviamo Visconti, Tognazzi, Svevo reinterpretati utilizzando diverse chiavi che ci trascinano tra sonorità che non finiscono di stupirci, pezzo dopo pezzo, volando dal rock al blues, passando per distorsioni elettroniche, ritmi tribali, ballate popolari, melodie balcaniche, arrangiamenti folk.
Tra i momenti più toccanti l’ interpretazione di Guarda che Luna, dedicata all’ amico Carlo Monni, venuto a mancare nel 2013, un omaggio senza alcuna retorica che ha strappato ai presenti un lungo e commosso applauso.

Bobo Rondelli è questo e ad un suo concerto ci si può aspettare di tutto, perchè dietro quella maschera di irriverenza e ostentata goliardia si nasconde un vero talento: un talento che fino ad ora è rimasto, con stupore di molti, circoscritto ad una realtà nella quale sembra essere incastrato.
Questa prima data del tour ci ha dato una certezza: Bobo è Bobo, non vuole cambiare, e non cambierà.
E’ per questo che lo amiamo.
Ed è per questo che adesso, anche noi toscani, ci sentiamo pronti a condividerlo con il resto dello stivale, e non possiamo che augurandogli un’ascesa verso palchi sempre più importanti, perché se c’é una cosa che non gli manca è la coerenza per gestirli al meglio.

“Viaggio d’andata senza ritorno
bella Livorno, mi fermo qui”
(Madame Sitrì)

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Betty Bryce

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Betty Bryce nasce nei pressi di Firenze, nel settembre del 1985. Trascorre buona parte dei suoi pomeriggi infantili ascoltando Debussy & Beethoven ai piedi di un pianoforte a muro che non ha mai imparato a suonare e scatta la sua prima foto con una Koroll II, macchina che usava suo nonno negli anni '60. Inaugura l' adolescenza precipitando nel tunnel della musica dal vivo e da allora non riesce più a smettere. Oggi si commuove in camera oscura e ha una relazione complicata con la tecnologia, rimane comunque la versione più alta della ragazzina di un tempo. All' attivo ingaggi come fotografa di eventi, ritratti e pubblicità, sommati a tutta una serie di cose che ancora non son chiare nemmeno a lei.

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