L.A. Witch live a Milano: l’attitudine di graffiare

Occasione ultima per vedere in Italia le L.A. Witch, la serata del 7 aprile al Circolo Ohibò di Milano.
Band giovane e interamente al femminile, ma già rodata da diversi anni di esibizioni live, le L.A. Witch hanno pubblicato a settembre del 2017 il loro album d’esordio, che porta il loro stesso nome, e chiudono davanti al pubblico milanese il tour europeo di questa primavera.

Uno sguardo in casa prima di cominciare: i Go Go Ponies vengono da Milano e sono un’altra band dalle quote rosa predominanti, che si gioca tutto con l’impatto, visivo e musicale. Si presentano vestite per metà da pompiere, dalla vita in su, e praticamente non vestite per la rimanente metà. Interagiscono col pubblico, ammiccano e giocano con l’ambiguità dei testi, spingendo con chitarre dritte, semplici e pesantine. I Go Go Ponies strizzano l’occhio all’hard rock, la voce è graffiante (facile il richiamo a Sandra Nasić dei Guano Apes), i ritmi serrati e incalzanti, sanno come tenere alta l’attenzione del pubblico per uno show divertente.

Gogoponies

Le L.A. Witch mettono subito in chiaro che di impostato non hanno assolutamente nulla. Il suono è ruvido, la voce effettata ed elaborata con echi massicci, l’odore che si respira è quello di un seminterrato newyorkese, anche se, come facilmente intuibile dal loro nome, queste tre ragazze provengono dalla West Coast, terra che in quanto a rumorosi gruppi garage ci ha regalato grandi soddisfazioni nell’ultimo paio di decenni.

Graffiano le chitarre e su un tempo che si trascina, lasciando un po’ in secondo piano il basso. I riff delle L.A. Witch non sono affatto puliti, hanno una bella presa, il loro suono punta prevalentemente alla sostanza con un uso moderato di riverberi. Il ritmo non è mai lo stesso, a tratti emerge un’attitudine rock and roll più movimentata, alcuni pezzi spaziano e non mostrano una vera identità, poi si solleva il piede dall’acceleratore e si sfuma nel garage suonato a testa bassa.

Arriva anche una sorta di piacevole ballata sporca e dalle melodie più “virtuose”, se così possiamo definire ‘Baby in blue jeans‘. Le L.A. Witch prendono suoni tutt’altro che armonici e li sovrappongono, prendendo forma in un modo inaspettatamente gradevole. Ci pensa la voce di Sade Sanchez a trasmettere una sensazione di distonia, anche quando la chitarra è più pulita e tradizionale.

Il risultato che arriva al pubblico, da tutta questa elaborazione delle L.A. Witch, è di ottima qualità e si ha la piena impressione che non ci sia nulla di costruito dietro, che tutto esca con assoluta spontaneità. Sfoderano anche grandi bassi e suoni ovattati, con un gran tiro, cavandosela bene pure su tempi sostenuti. Si chiude il set con chitarre compresse, basso importante e qualche fischio di feedback dalle case.

Un paio di pezzi per l’encore delle L.A. Witch, un rientro ondeggiante e con una buona ritmica, che prende pure qualche divagazione tra il surf rock e un accenno di rock psichedelico, si collocano sempre fuori dal tempo, con qualche carenza di basso che ancora si avverte, giocando di continuo con i cambi di velocità. L’attitudine live delle L.A. Witch è fuori discussione, se con un album solo alle spalle riescono a tirar fuori un concerto di questo tipo: ci sono idee, c’è immediatezza, ci sono tutte le cifre per considerarle un gruppo più che promettente nella scena garage rock.

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Matteo Ferrari

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Nato nel 1984 nell'allora Regno Lombardo-Veneto. Un onesto intelletto prestato all'industria metalmeccanica, mentre la presunta ispirazione trova sfogo nelle canzonette d'Albione, nelle distorsioni, nei bassi ingombranti e nel running incostante.

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