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King Diamond, il ritorno del Re

A diciannove anni dall'ultima apparizione, torna su di un palco italiano l'horror-show di King Diamond

Ad aprire il concerto, degli ospiti davvero speciali: i Paradise Lost

Massimo "Max" Murgia
di Max Murgia
17 Giugno 2025
King Diamond

Milano, 17 Giugno 2025

Questa sera ha finalmente avuto fine la lunga assenza di King Diamond dai palchi italiani. Un’assenza quasi ventennale, solo parzialmente mitigata dalla fugace apparizione dei Mercyful Fate nell’ambito dell’edizione 2022 del festival Rock The Castle. Ma, per l’appunto, si trattava dei Mercyful Fate, mentre l’ultimo passaggio in Italia del suo progetto solista risale addirittura all’oramai lontanissimo 2006.

Non deve quindi stupire l’hype sviluppatosi attorno a questo attesissimo concerto. Un hype che ha mandato al limite del sold-out l’Alcatraz di Milano, complice anche la saggia decisione di completare il bill con degli special-guest davvero d’eccezione. Talmente d’eccezione che il termine gruppo spalla per una band sulla breccia da quasi 40 anni e che ha letteralmente inventato un genere – il Gothic Metal – rischia di essere davvero riduttivo.

Ad aprire questa sera per il Re Diamante saranno infatti i Paradise Lost di Nick Holmes e Greg Mackintosh. Per qualcuno, incluso il vostro umile reporter, la loro presenza giustificherebbe, da sola, l’acquisto del biglietto.

La band di Halifax sale sul palco dell’Alcatraz molto presto, sono solo le 19:45, ed il loro set non durerà più di tre quarti d’ora. Nonostante siano freschi di release con il singolo ‘Silence Like The Grave’ che anticipa l’uscita del nuovo album “Ascension” prevista per il prossimo 19 settembre, il loro set si concentrerà su titoli sicuri come Enchantment e The Last Time da Draconian Times, Embers Fire’da Gothic e Pity the Sadness da Shades Of God. Senza disdegnare anche materiale più recente come No Hope In Sight e Ghosts. 

Nick Holmes e compagni non sono mai stati particolarmente dinamici in scena, e questa sera non fa eccezione. Spetta al buon Aaron Aedy movimentare un po’ il palco con un minimo di shapes-throwing mentre Nick Holmes rimane come di consueto fisso a centro palco, gioviale come un cero funebre.

Di Greg Mackintosh non bisognerebbe mai smettere di tessere le lodi: il suo riffing è sempre micidiale ma è quel connubio di potenza e melodia che ne ha sempre contraddistinto lo stile a renderlo – meritatamente – uno dei più riveriti chitarristi della scena estrema. Dietro ai tamburi invece non troviamo più il nostro Guido Zima, recentemente uscito dalla band ed attualmente sostituito da una vecchia conoscenza, quel Jeff Singer che con i Paradise Lost aveva già suonato negli anni a cavallo tra il 2004 ed il 2008.

I quarantacinque minuti a disposizione si esauriscono in fretta, e come oramai d’abitudine, Holmes e compari si accomiatano dal pubblico calando l’asso di uno dei loro brani più popolari. Quella Say Just Words che fa sempre cantare tutti quanti. Segnaliamo la presenza in sala in veste di attenti osservatori di Marco e Sara dei Messa, che il prossimo autunno accompagneranno proprio i Paradise Lost nel tour da headliner, a supporto del nuovo disco.

Paradise Lost
Paradise Lost

Durante il cambio di palco, temporaneamente coperto da un grande telone con il logo del Re Diamante, l’attesa del pubblico raggiunge il suo apice. Mancano solo pochi minuti, occupati da una splendida The Wizard degli Uriah Heep, quando finalmente le luci si spengono e il telone viene rimosso.

Si rivela così la scenografia gotica sui cui si muoverà la band: due scalinate laterali portano ad un ponticello sospeso che sovrasta la batteria di Matt Thompson. Tra candelabri e gargoyle, notiamo anche due inquietanti bambole che sembrano uscite dal set di “The Conjuring”.  Sulle note di Funeral che fungono da intro, King Diamond entra finalmente in scena.

Di fronte a lui, una bara su cui leggiamo molto chiaramente il nome di Abigail. Il Re ha in braccio una bambola, che accarezza sadicamente con la lama del coltello che regge nell’altra mano: pochi secondi bastano a farci capire che questo non sarà un semplice concerto ma un vero e proprio horror-show in pieno stile Alice Cooper. Scenografia a parte, il
lato teatrale della performance prevede infatti la presenza in scena della performer Jodi Cachia, che sta a King Diamond un po’ come Sheryl Cooper sta a suo marito Alice. Con il ritiro dei Kiss e la oramai non più verde età di Vincent Furnier, è abbastanza chiaro che a mantenere alta la bandiera dello shock rock siano rimasti solamente i Ghost, e naturalmente il Re Diamante.

King Diamond
King Diamond

Dal punto di vista strettamente musicale, il concerto ha messo in evidenza lo stato di grazia della band, rodatissima e capace di generare un impatto sonoro dalla carica esplosiva, con un Andy LaRocque superlativo per tecnica e gusto, ben coadiuvato dall’altro chitarrista Mike Wead e dal solidissimo comparto ritmico fornito da Matt Thompson (batteria) e Pontus Egberg
(basso). In teoria avremmo dovuto vedere anche Myrkur alle tastiere e ai cori, ma causa altri impegni ha lasciato il tour per essere sostituita da Hel Pyre delle Nervosa.

La vera sorpresa però è proprio lui, il Re Diamante, 69 anni compiuti giusto un paio di giorni prima di questo concerto: performare per più di un’ora e mezza ancora a questi livelli, muovendosi di continuo nella bella scenografia di cui si è dotato, carico di trucco e di costumi di scena, non è da tutti, soprattutto non a quell’età.

Vocalmente non ha perso un colpo, nonostante abbia ampiamente usato ed abusato del suo iconico falsetto. Da questo punto di vista, sicuramente aiutano gli intermezzi strumentali, strategicamente posizionati per separare blocchi di canzoni, e che consentono – un po’ a tutti, pubblico compreso – di tirare un po’ il fiato.

La scaletta pesca soprattutto nella prima parte della discografia del Re, con particolare attenzione per “Abigail”, da cui ha tratto – oltre alla title-track – anche A Mansion In Darkness ed Arrival. Non mancano classici come Halloween e The Candle da “Fatal Portrait” mentre da “The Eye” ci vengono offerte Burn ed Eye Of The Witch.

In set-list anche due novità (o quasi): Spider Lilly e Masquerade Of Madness sono due brani che anticipano il nuovo album “Saint Lucifer’s Hospital 1920”, che uscirà tra qualche mese. Dal vivo sono già state eseguite diverse volte, ma per l’Italia rappresentano una vera primizia. Sono due ottimi pezzi che ben fanno sperare sulla qualità del disco che uscirà: speriamo solo che per ascoltarne altri brani, non ci sia da aspettare altri diciannove anni.