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Kiiōtō

Kiiōtō: il libero fluire di emozioni in musica

La musica dei Kiiōtō lascia il segno al Largo Venue

Lou Rhodes e Rohan Heath deliziano il pubblico con il loro “As Dust We Rise”

Roma, 20 Marzo 2025  | Ph. © Giulio Paravani

Si parte dalla fine. Sono le ore 23 e poco più di un giovedì di quasi primavera. È da poco terminato il concerto dei Kiiōtō e ho la conferma che il peggior nemico della musica è l’industria musicale.

Torniamo indietro al 2021. Lou Rhodes, è la vocalist e fondatrice dei Lamb, influente band di Manchester di fine anni Novanta. Un loro pezzo finì nella colonna sonora di un film italiano, ma non vi dico quale, cercatelo voi e stupitevi. Rohan Heath, è pianista e cantautore già negli Urban Cookie Collective. I due si ritrovano a collaborare per la stesura dei testi di un disco di comuni amici. Chimica, magia, affinità elettive, incontro di anime complementari, nasce una relazione sentimentale dalla quale decidono, almeno all’inizio, di tener fuori il lavoro.

I buoni propositi durano poco. Per caso, o per il corso naturale delle cose, nella cucina della loro casa, iniziano a prendere forma diverse canzoni. Libere, senza vincoli e aspettative, se non quelle di dar forma sonora alla loro sensibilità artistica. Intrise di poesia, influenzate dal loro percorso artistico, dalle loro letture, dai loro studi e che alla fine vengono raccolte e pubblicate in un album.

Il primo disco dei Kiiōtō, “As Dust We Rise”, esce nella primavera dello scorso anno e arriva oggi in tour in Italia. In punta dei piedi, tenendo lontani i riflettori del mainstream e con la grazia e l’eleganza di due artisti a trecentosessanta gradi. Lo fa con la forza dell’autenticità delle emozioni e dell’amore per l’arte allo stato puro. Lo fa stasera a Roma.

Opening affidato a Emma Tricca, cantautrice italiana di nascita e londinese di residenza. British folk, belle canzoni ben interpretate e ben suonate. Chitarra fingerpicking e voce vibrante, un po’ sforzata quando sale di intensità. Purtroppo, la chitarra la penalizza drammaticamente durante un cambio di accordatura che le porta via dieci minuti, si risolve in un nulla di fatto, ma la costringe a cancellare uno o due pezzi inseriti in scaletta.

Poi i Kiiōtō. Lou Rhodes indossa una lunga veste bianca, accompagnata da un thermos di tè caldo e con un giacchetto blu sulle spalle. Una bronchite che ha tenuto in forse il concerto di stasera fino a un paio di giorni fa. Ma adesso è qui. Rohan Heath, camicia e cappello grigio in testa, siede dietro piano, synth e macchine elettroniche.  Sono accompagnati al violino e ai cori, da Quinta, artista multiforme, già collaboratrice dei Lamb e di Philip Selway (Radiohead).

Dicevamo, l’industria musicale, Quando viene tagliata fuori, sparisce il carrozzone promozionale che si intromette tra l’uscita di un disco e l’inizio di un tour e che spesso diventa la prigione nella quale gli artisti restano ingabbiati e sono liberi di essere loro stessi e di regalare musica come quella di stasera.

Se da una parte, per la bellezza delle canzoni, la qualità del suono, l’energia e il carisma dei musicisti, il concerto meriterebbe una presenza di spettatori più copiosa, dall’altra, un pubblico di dimensioni contenute diventa garanzia di attenzione, partecipazione e qualità dell’ascolto. Raramente ho percepito una connessione tra artisti e spettatori come quella di stasera. Il mainstream inquina energeticamente l’esperienza musicale. Laddove è la magia, i numeri molto alti rischiano di rovinare l’incantesimo.

Perché tale è la musica della band inglese. Volteggia spaziando da suoni e colori jazz, a richiami blues, romantiche parentesi folk sapientemente miscelate a un accattivante uso dell’elettronica e dei loop. Lou Rhodes ipnotizza i presenti con la sua voce carica di carisma, lirismo ed emozioni, sostenuta dal pianoforte di Rohan Heath. Si presentano con ‘Hem’ e una tromba alla Miles Davis che si contrappone allo scandire di un timpano conferisce maestosità accentuata dal registro basso del violino passato presumibilmente in un octaver.

La stessa solennità sacrale presente in ‘Song for Bill’, la canzone più significativa dell’intero lavoro, dedicata a Bill Evans. «È stata la prima canzone che abbiamo iniziato a scrivere insieme […] rappresenta la vera sintesi di ciò che rappresenta la band.», raccontano in un’intervista (qui per leggerla integralmente). Ciò che maggiormente colpisce del pezzo è l’incredibile purezza e presenza del suono del pianoforte e il calore del jazz più avvolgente. La melodia vocale segue una linea quasi folk, finché, senza preavviso, la musica si sposta decisamente verso la visceralità del blues.

‘Song for Bill’ è il manifesto musicale dei Kiiōtō. Riprendendo ancora le parole di Evans, sottolineano come «l’individuo deve “togliersi di mezzo” affinché la sua creatività fluisca veramente». E la musica stasera fluisce libera da costrizioni. Ad esempio, nell’elettronico e allucinato ‘Ammonite’, in cui protagonista è la paleontologia e un mollusco cefalopode estinto circa 65 milioni di anni fa. O in ‘Here Comes the Flood’, che apre con il pizzicato di un violino, prima dell’entrata di un basso e una batteria potenti e portanti un groove funky/dance.

‘Lost Map’ ha il colore di uno standard jazz, piano e voce. È ancora una tromba che scandisce l’andamento del brano e spicca nel silenzio del pubblico. L’armonica a bocca di ‘Spanish Moss’ fa rientrare nuovamente il blues dalla porta principale e non stupisce leggere quanto abbia contato per l’ispirazione di “As Dust We Rise” un loro viaggio in Louisiana.

La malinconia e la poesia di ‘Wild Geese’ ha il profumo del romanticismo crepuscolare e sofferto di una passeggiata nella brughiera inglese. Ma è in ‘Lullaby’, canzone dei Lamb, intonata da Lou a cappella, in cui nel suo respiro e nel silenzio prima dell’ultima nota ti ritrovi sospeso a fluttuare nell’eternità senza tempo.

Non conoscevo i Kiiōtō e ringrazio la curiosità che mi spinge a scoprire nuove band e nuova musica. Meriterebbero grandi ribalte, che probabilmente all’estero hanno. Da parte mia non posso che rilanciare le parole pronunciate da Lou Rhodes questa sera.

«”As Dust We Rise” è il nostro disco. Acquistatelo, scaricatelo, ascoltatelo in streaming dalle piattaforme. Fateci quello che volete, perché per noi è importantissimo.»

Fatelo, e la prossima volta non lasciatevi sfuggire un loro concerto. E ringraziatemi.

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