Oca Nera Rock

Concerti, news, musica, interviste, foto, live reports

Karate

Karate: per quattro volte una meravigliosa rarità

Secondo sold out in una settimana per i Karate nella “loro” Roma

La creatività della band di Boston delizia il Monk 

Roma, 15 maggio 2025

Band come i Karate sono una rarità. In una città come Roma, impermeabile e refrattaria a tutto ciò che può essere considerato alternative rock, la band di Boston ha prima creato, poi mantenuto, una solidissima fanbase e diversi amici. Lo stesso Geoff Farina, è stato parte attiva e coinvolta in prima persona nella nascita del progetto Ardecore. Fu proprio qui, che nel 2005 chiusero la prima fase della loro carriera, con l’ultimo concerto prima della temporanea separazione. Fu qui che tornarono, già nel 2022, per un live estivo a Villa Ada. Ed è sempre a Roma, stavolta al Monk, dove concludono le date italiane del loro tour europeo.

La chiudono dove l’avevano aperta una settimana fa. Perché il grande seguito li ha indotti a inserire una seconda data romana. Due date, due sold out, per una band alternative rock americana: prima rarità. inque gli album riproposti nelle setlist. Dal primo, “Karate”, al recentissimo “Make It Fit”, passando per “The Bed Is In the Ocean”, “Unsolved” e “Pockets”.

In un mondo in cui computer, campionamenti, sovraincisioni, sequenze, autotune, loopstation, batterie triggerate, backing vocals in playback, pedal board come astronavi, rendono anche i palchi delle piccole venue delle piccole sale di controllo della Nasa, i Karate restituiscono alla dimensione live quella meravigliosa, immediata, naturale e umana spontaneità. Il loro backline è più semplice ed essenziale di quello che oggi si trova dietro una qualsiasi band amatoriale. La Stratocaster di Geoff Farina entra direttamente in un Fender Twin Reverb: canale pulito e canale distorto. Così il basso di Jeff Goddard, che entra nell’ampli senza soste intermedie: seconda rarità.

Karate

Ma possono permetterselo. Un live dei Karate è una lectio magistralis di come si suona in una band. Anzi, di come si suona e basta. L’espressività, la padronanza perfetta dei volumi e del feedback di Farina. Il controllo e la creatività che Gavin McCarthy ha sulla sua batteria. Le linee di basso di Goddard che diventano lezione di armonia, tanto lineari quanto originali nelle soluzioni. I Karate sono la dimostrazione che suonare resta principalmente una questione di creatività, talento e fantasia. Un’altra rarità al giorno d’oggi; la terza

È la dimensione del club è quella che meglio si adatta loro. La vicinanza con il pubblico, l’annullamento del muro fronte palco. Non ricordavo un impatto simile a Villa Ada, tre anni fa. È bello vederli suonare, nessuna concessione a trovate sceniche. Essenziali nell’abbigliamento: maglietta nera per Farina e Goddard, camicia per McCarthy. Disposti a triangolo, cercano e mantengono contatto oculare ed escono come un tutt’uno.

Karate: per quattro volte una meravigliosa rarità » Reports

Il paragone che faccio è con le grandi band in trio della storia. Le canzoni hanno narratività. Raccontano storie, con introduzione, sviluppo, epilogo e, in qualche caso, anche colpo di scena. Pur nella loro essenzialità, evocano molteplici mondi sonori. Atmosfere e armonie raffinate in ‘Small Fires’. È una ballad, con dialogo tra batteria e cantato, con un approccio alla Michael Stype nel modo di attaccare le strofe e nella scansione del testo. Mentre in ‘Gasoline’ la stessa voce di Farina si carica di tensione drammatica fino a un’implosione finale.

In ‘Defendants’ e nella chiusura finale di ‘There Are Ghosts’ la chiave di ascolto me la fornisce il modo di suonare la batteria di McCarthy: i Dinosaur Jr. Senza muro di chitarre con distorsione e volume oltre i limiti dell’umano e la voce suadente di J Mascis, ma con una straordinaria variabilità armonica, ritmica, melodica.

Impossibile incasellare il suono dei Karate in un unico genere. ‘Liminal’ pesantemente intrisa di blues, così come ‘Fall to Grace’ lo è di funky e soul. ‘Water’ è un bel brano cantautorale permeato di jazz. L’arpeggio, le triadi e gli accordi di settima sulla chitarra, un basso che dondola in tre quarti, aprono un’amaca in cui cullare pensieri e meditazioni.

Karate

‘Sever’ è magistralmente costruita ed orchestrata, con jazz, funky, alternative rock che si rincorrono, si contaminano, si fondono. Lo strumentale finale ha protagonista il basso ostinato di Goddard che ripropone il tema del pezzo. Farina si diletta aprendo il gain del Twin Reverb con feedback e fraseggi jazz rock. Si va avanti ad libitum, fin quando è Goddard a chiamare un fill di batteria, prima di un’ulteriore salita dinamica che chiude sul cantato del ritornello. Quando si dice suonare è esattamente questo che intendo.

La parola magica dei karate è “cantabilità”. Tutto è cantabile: i soli, le linee di basso, la batteria. “The Same Stars” è un’altra lezione di come si scrive e come si suona musica. Prima parte con atmosfere West Coast e qualche trillo knopfleriano sulla Stratocaster. Nella lunga impro finale i suoni aumentano di temperatura, fino al rovente finale tra feedback e saturazioni valvolari. L’improvvisa quiete della chiusura raffinata e sospesa è ciò che chi non conosce il pezzo non si aspetterebbe mai

Suonano in trio i Karate, ti prendono e non ti mollano mai; per un’ora e mezza. Aggressivi, energici, sognanti, eleganti, sorprendenti, fantasiosi, eclettici. Basso, batteria e chitarra e basta così: l’ultima e definitiva rarità