John Carpenter live a Roma: abituarsi alle rockstar settantenni

Intro

Due registi di culto hanno in comune una carriera collaterale nella musica: David Lynch e John Carpenter.
Con una differenza importante: Carpenter è da sempre l’autore delle colonne sonore dei propri film, perciò non è così sorprendente la scelta di proporre dal vivo le sue opere più celebri affiancate dagli estratti dei due volumi di “Lost Themes”, album di inediti usciti per l’etichetta Sacred Bones nel 2015 e nel 2016.

Il primo tour di John Carpenter diventa perciò l’occasione per riascoltare quei brani inconfondibili, basati su minimali riff di synth, che hanno influenzato centinaia di band in ambito elettronico e indie. Fra i tanti fan del genere bisogna annoverare i Chromatics, gli Zombie Zombie e i Crimea X (entrambi hanno coverizzato i pezzi più famosi del maestro), ed è il caso di citare i Survive, autori della soundtrack di “Stranger Things”, serie rivolta ai nostalgici degli ’80.

The more things change, the more they stay the same.
Snake Plissken

Cosa aspettarsi, dunque, dall’esibizione live?
John Carpenter il 28 agosto a Roma è accompagnato da una band composta dal figlio Cody, il figlioccio Daniel Davies, John Spiker, John Konesky e Scott Seiver: synth, due chitarre, basso e batteria per dare una veste decisamente più corposa alle soundtrack altrimenti assai essenziali del regista statunitense.
Lo spettacolo è assicurato dalle proiezioni su schermo che accompagnano i rispettivi titoli, un ottimo sunto della varietà di generi nei quali Carpenter si è cimentato: l’horror di “Halloween”, la fantascienza distopica di “Escape From New York”, il thriller kinghiano di “Christine” fino ai film più inclassificabili come “They Live” (un’analisi spietata del capitalismo) e il capolavoro apocalittico “In the Mouth of Madness” (ispirato dal genio di H.P. Lovecraft).

Il concerto si apre sulle note del ‘Main Theme‘ di “Escape From New York”, che in questa versione unisce l’inquietudine dei synth alla violenza delle chitarre, trasformandosi in una maestosa introduzione al corpus carpenteriano, un viaggio che in poco più di 70 minuti (forse troppo poco, considerando la vastità del repertorio) ci porta da Snake Plissken (ma in Italia lo conosciamo come Jena!) a Michael Mayers, dalla gang criminale di “Assault on Precinct 13” alla macchina infernale “Christine”, dalle visioni rivelatrici di John Nada (ma solo con le lenti giuste) in “They Live” all’essenza del male scoperta da Padre Loomis in “Prince of Darkness” (con Alice Cooper in omaggio).

La scaletta è equilibrata, perché Carpenter ha scelto di eseguire solo una minima parte dei brani nuovi presenti su “Lost Themes I” e “II” per lasciare spazio ai temi che lo hanno reso un punto di riferimento per chi ama la wave synthetica.
Per ogni film c’è solo un estratto dalla soundtrack e va segnalata l’unica cover del set, il main theme di “The Thing”, composto da Ennio Morricone nel 1982. I pezzi degli ultimi due dischi includono ‘Distant Dream‘ (a mio parere la più riuscita dal vivo), ‘Vortex‘, ‘Mystery‘, ‘Virtual Survivor‘, ‘Wraith‘, ‘Night‘ e ‘Purgatory‘.

Il set alterna parti in cui dominano i synth e altre dove spadroneggiano le chitarre, un mix che caratterizza da sempre le soundtrack di Carpenter, il quale ha spesso intercalato riff blueseggianti, ritmi pestoni e passaggi evocativi per accompagnare i suoi film.
Chi preferisce la cruda essenzialità dei synth potrebbe rimanere perplesso dagli arrangiamenti proposti dalla band, decisamente più heavy rispetto alle colonne sonore originali, tuttavia il connubio con le immagini fa sempre il suo dannato effetto e i momenti esaltanti non mancano.
Personalmente mi sarebbe piaciuto ascoltare più brani tratti da “Assault on Precinct 13” ed “Escape From New York”, ma a parte questo i fan possono andare sul sicuro: il Maestro è ancora in azione.

Outro

Tralasciando il discorso cinematografico e quello del revival (vedremo mai un nuovo film di Carpenter? Ci dobbiamo abituare alle rockstar quasi settantenni? Oh, scusate, lo siamo già), assistere al concerto di un regista che ama il rock’n’roll è un esperienza che consiglio anche a chi non avesse familiarità con i film citati e magari, chissà, potrebbe servire come pretesto per scoprire quelle pellicole e accorgersi quanto Carpenter sia stato influente, sebbene per via sotterranea.

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