I-Days Festival 2016 Day 1: una bomba di elettroni

L’Italia e i festival estivi: un rapporto conflittuale, una storia senza fine, una serie di tentativi che vanno talvolta a buon fine, ma che faticano a trovare conferme.
Il rilancio in pompa magna del brand Independent Days Festival, dopo uno stop di alcuni anni, avviene al Parco di Monza sotto le insegne di I-Days Festival 2016: dall’8 al 10 luglio, tre giorni infarciti di numerosi artisti di diversa estrazione, una manifestazione che cerca di essere eterogenea e di parlare al più vasto pubblico possibile, come suggeriscono i nomi in evidenza sul cartellone e anche quelli di supporto.

Cosa NON è I-Days Festival 2016: non è una rassegna frammentata su più serate, come da tradizione di casa nostra, e non è nemmeno una sequenza di gruppi e cantanti diversi e talvolta male assortiti che si susseguono sullo stesso palco. È una manifestazione che merita appieno il titolo di festival, facendosi forte di quattro palchi, a occhio e croce un record italiano, e di un’offerta ampia e ricca di alternative. Il menu non sarà ricco come quello degli storici festival europei, ma prevede la possibilità di scegliere in ogni momento chi seguire, e scusate se è poco.

8 luglio, prima giornata di I-Days Festival 2016: i palchi più piccoli contrappongono al piglio elettronico del Red Bull Tour Bus, con Stag, Klune, Drywet e Hermit a esibirsi in sequenza, il rock più canonico del Brianza Rock Festival, sul palco BRF Circus. Con The New Waves, Another Feedback e Never Trust, i rimandi ai fasti del grande rock sono garantiti, spaziando tra ballad melodiche, chitarre voluminose, front-women carismatiche e riff di chitarra piacioni.

Il tendone più grosso è appannaggio del secondo palco in ordine di importanza, l’Ascari stage, che dopo la parentesi italica dei Doc Brown e di Michele Bravi, va a pescare nell’indie rock contemporaneo d’Oltremanica, offrendosi come rifugio principale degli amanti delle chitarre più trendy. The Sherlocks con il loro basso che suona familiare, con i rimandi ai big del genere negli anni dei fasti, coinvolgono il pubblico all’ora dell’aperitivo, impostati bene, adolescenziali nella loro staticità e nei loro suoni dalla presa simpatica.

Il live che si interpone tra i due big del palco principale dell’I-Days Festival 2016, è quello che all’imbrunire porta sull’Ascari stage lo spavaldo Jake Bugg. L’inizio è morbido e dall’aria western, si mette in mostra come menestrello sofisticato con ‘Two fingers‘, e quando gli sale il folk diventa trascinante, mostrando la propria peculiarità come accade con ‘There’s a beast and we all feed it‘. C’è spazio anche per digressioni rock, e ‘Gimme the love‘ ne è un esempio, prima di chiudere con ‘Lightning bolt‘ che è il più classico dei pezzoni alla Jake Bugg.

Il palco più grande, quello destinato agli headliner dell’I-Days Festival 2016, è il Parabolica stage, e dopo aver dato spazio al pop di Jasmine Thompson, diventa l’arena dello show dei Bloc Party. Il gruppo londinese spazia attraverso le varie fasi della propria carriera, un trasformismo che li priva di continuità ed identità ma che li tiene sempre in vita. L’impatto dell’elettronica è buono, mentre un po’ meno riusciti i passaggi più morbidi, attingendo dai vocalizzi e dai bassi di atmosfera e dai campionamenti blandi. È uno show di Kele Okereke, con il resto dei Bloc Party a dargli manforte, e sono comunque i pezzi più carichi di chitarre a sfondare il muro, prima ‘Hunting for witches‘ e poi i brani del fastoso esordio, ‘Banquet‘ e ‘Helicopter‘.

Il nome più importante in programma, quello che ha attirato la fetta di pubblico più importante in questo primo giorno di I-Days Festival 2016, è quello di Paul Kalkbrenner. Se tanto mi dà tanto, qui dalle parti di Oca Nera Rock siamo appunto impallinati con il rock, e il dj berlinese potrebbe portarci fuori tema. Ma siccome siamo anche curiosi e aperti ai vari filoni musicali, a patto che di musica buona si tratti, tendiamo le orecchie e vediamo se il colosso teutonico ci sa fare. E quest’uomo, che ha preso in prestito il logo di Paperinik apparendo comunque meno sfigato dell’eroe disneyano, sa riempire il palco che diventa un one man stage, apparendo come un puntino bianco in una miriade di luci e scuotendo il pubblico intero. L’inizio non è irruento, ma ad un certo punto l’intensità sale ed è la scala Richter a certificarlo. Quando non si lascia sedurre dalla piacioneria della musica elettronica, mette in mostra il proprio carattere e spinge parecchio. Un coinvolgente set di un paio di ore, quello di Paul Kalkbrenner, che ammalia gli scatenati fans e sa coinvolgere anche chi è meno avvezzo ai suoi elettroni pulsanti.

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Matteo Ferrari

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Nato nel 1984 nell'allora Regno Lombardo-Veneto. Un onesto intelletto prestato all'industria metalmeccanica, mentre la presunta ispirazione trova sfogo nelle canzonette d'Albione, nelle distorsioni, nei bassi ingombranti e nel running incostante.

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