Luci, polvere e suoni millenari per i Glass Beams
Un viaggio sonoro tra ancestrale e futuro: la band guidata da Rajan Silva incanta Ostia Antica con un live sospeso nel tempo.
il Teatro Romano di Ostia Antica è diventato palcoscenico di un rito musicale ipnotico e trascendente. Protagonisti i Glass Beams, trio australiano che fonde suoni orientali, ritmi tribali e sperimentazioni elettroniche in un’esperienza live fuori dal tempo.

di Stefano Panaro 23 Giugno 2025

Ostia Antica (RM), 22 Giugno 2025
Cosa succede quando una band che suona come un rituale sacro si esibisce in uno dei luoghi più antichi e suggestivi del Lazio? Succede che non si parla più soltanto di un concerto, ma di un’esperienza fuori dal tempo. È quello che è accaduto quando i Glass Beams hanno portato il loro universo sonoro nel cuore di Ostia Antica Festival, trasformando il Teatro Romano in un tempio psichedelico, tra maschere dorate, synth ipnotici e suoni che sembravano uscire da un altro mondo.
Un teatro millenario come palcoscenico del futuro
L’attesa è stata palpabile. Il sole stava ormai calando dietro le rovine quando il trio australiano è salito sul palco, immerso in una scenografia essenziale ma magnetica. Nessuna parola. Nessuna presentazione. Solo tre figure mascherate che sembravano materializzate da un sogno tra India, Australia e qualche dimensione sospesa nel cosmo.
Appena parte il primo brano, la realtà si dissolve. I Glass Beams, guidati da Rajan Silva, non suonano, evocano. La loro miscela di psichedelia orientale, groove tribali e ambient elettronico riempie ogni pietra del teatro, avvolgendo il pubblico in un’atmosfera meditativa e ipnotica.
Glass Beams live: un viaggio mistico tra passato e presente
Il concerto dei Glass Beams a Ostia Antica è un percorso. I suoni si stratificano, si avvolgono, si dilatano. I bassi si muovono nel petto come un battito primordiale. Le melodie, spesso costruite su scale orientali, sembrano dialogare con qualcosa di antico e sacro. Non ci sono voci nel senso tradizionale, ma mantra, bisbigli, echi che rimbalzano tra le colonne millenarie. Ogni traccia è costruita come un piccolo rituale, con una struttura che porta prima al raccoglimento, poi all’estasi.
Il pubblico — un curioso mix di cultori del suono, appassionati di elettronica e viaggiatori sonori — resta in silenzio per gran parte del live. Non per noia, ma per rispetto. Perché ciò che accade non è intrattenimento, è un rito. Solo verso la metà del set qualcuno inizia a muoversi, le teste oscillano, i corpi si abbandonano a un groove che cresce piano, quasi senza accorgersene.
Ostia Antica come non l’avevamo mai vista (e ascoltata)
La vera magia è nel contesto. Vedere una band come i Glass Beams suonare in un luogo come Ostia Antica crea un cortocircuito emotivo e visivo potente. I beat elettronici si fondono con la pietra antica, i suoni sintetici riverberano sulle gradinate romane. È il passato che accoglie il futuro, è l’archeologia che sposa la psichedelia contemporanea. E funziona alla perfezione.
Ogni pezzo scorre come un flusso, senza interruzioni. Alcuni momenti sembrano disegnati per la contemplazione, altri per la danza tribale. Il sound design è curatissimo: loop stratificati, percussioni suonate dal vivo, synth analogici che non cercano l’effetto nostalgia, ma creano spazi nuovi, spazi interiori.
Musica rituale per il presente
I Glass Beams non sono una band facile da definire e forse è proprio questo il loro punto di forza. Non fanno world music, non sono ambient in senso classico ma non sono nemmeno psichedelia pura. Sono un ponte. Un ponte tra culture. Tra generazioni. Tra ritualità e tecnologia. Il loro concerto a Ostia Antica Festival è stato un avviso: la musica può ancora stupire, evocare, unire.
Verso la fine del live, i brani si fanno più densi, più fisici. Il ritmo cresce, le luci si fanno liquide, i suoni diventano ipnotici. Il pubblico è completamente immerso. E quando l’ultimo brano svanisce in un fade lungo e avvolgente, nessuno ha voglia di andarsene. Non ci sono bis, solo un lungo applauso. Più simile a un ringraziamento che a una richiesta.
Il live dei Glass Beams è racconto, esperienza, immersione. È stato uno di quei concerti rari, in cui forma e sostanza si allineano. Dove il luogo non è sfondo ma parte integrante della narrazione. Dove il suono non è solo da ascoltare, ma da abitare.
In un’epoca dove tutto scorre veloce e ogni concerto rischia di somigliarsi, la band australiana ha saputo rallentare il tempo, creando uno spazio sacro in cui la musica diventa rito. Chi c’era, lo sa: a Ostia Antica ha preso vita qualcosa che ha toccato corde profonde, invisibili, collettive. Con maschere dorate e una presenza scenica magnetica, la band ha costruito un dialogo tra spiritualità, tecnologia e memoria, trasformando un sito archeologico in un tempio psichedelico contemporaneo. Un concerto che ha superato i confini del genere per diventare visione, viaggio, immersione totale.
E se questo è l’inizio del loro viaggio europeo, possiamo solo sperare che i Glass Beams tornino presto in Italia. Magari di nuovo in un luogo inaspettato, pronto a vibrare con la loro musica senza confini.