Frontiers Rock Festival 2025 | Day 03 | Harem Scarem

Terza giornata: Marc Storace e Mike Tramp si aggiudicano rispettivamente il premio per il set più divertente e per quello più emozionante
Gli Harem Scarem chiudono con una performance perfetta un Festival che si è rivelato un successo e che tornerà anche il prossimo anno.
Trezzo Sull’Adda (MI), 27 Aprile 2025
Anche questa terza giornata si apre nella tarda mattinata con un altro tris di set acustici riservati dai possessori di biglietto VIP. I protagonisti dell’unplugged odierno sono i melodic rockers serbi The Big Deal, a cui segue Ronnie Romero per finire con gli Harem Scarem.
Nevena Brankovic (tastiere, voce) e Ana Nicolic salgono sul palco accompagnate dal chitarrista Srđan Branković per proporre due pezzi da ciascuno dei due album fino ad ora pubblicati. Abbiamo così modo di ascoltare le versioni acustiche di ‘Survivor’ e ‘Fairy Of White’ dal recente “Electrified”, ma anche ‘Sensational’ e ‘Bad Times, Good Times’ dal primo omonimo album. Ottimi gli impasti vocali delle due ragazze, egregiamente sostenuti dalla chitarra di Srđan, il che ci fa ben sperare per il set elettrico previsto più avanti nel pomeriggio.
Insieme a Nathan James (Inglorious) e Dino Jelusic, Romero è una delle voci giovani più potenti e ricercate nella scena Metal. Ronnie arriva dal Chile e potrebbe tranquillamente passare per il figlio putativo di Ronnie James Dio, non a caso il buon Ritchie Blackmore lo ha fortemente voluto come cantante quando ha riportato in vita per una manciata di concerti i suoi Rainbow. Anche per lui quattro pezzi unplugged, accompagnato dal chitarrista Jose Rubio. Sono tutte cover deluxe: si parte con ‘The Mob Rules’ dei Black Sabbath, si prosegue con una monumentale ‘Catch The Rainbow’ per poi passare a ‘Heaven’ dei Gotthard (Romero è stato anche il front-man dei CoreLeoni di Leo Leoni) per concludere alla grande con ‘Shot In The Dark’ di Ozzy Osbourne. Il formato acustico rende particolarmente giustizia alla voce di Romero, davvero una forza della natura ed uno die migliori vocalist metal attualmente in circolazione.
I canadesi Harem Scarem sono forse la band più attesa di questo festival, e quest’oggi abbiamo la possibilità di vederli in azione nella doppia veste acustica ed elettrica, dal momento che chiuderanno da headliner questa terza ed ultima giornata del Frontiers Rock Festival.
I quattro canadesi non hanno mai sbagliato un colpo, la loro produzione si è sempre mantenuta su livelli di eccellenza, come dimostra anche il nuovo album “Chasing Euphoria” uscito proprio in concomitanza con la loro partecipazione al FRF. Dal nuovo disco, nel set acustico ci propongono ‘Better The Devil You Know’ con la splendida voce di Harry Hess ben in evidenza, e ‘Gotta Keep Your Head Up’ cantata dal batterista Darren Smith. A completare l’esibizione, ben tre brani dal mitico, omonimo disco d’esordio tra cui una ‘Honestly’ letteralmente da brividi. Diciamo che se il buongiorno si vedesse dal mattino, dovremmo aspettarci grandi cose dal set elettrico di questa sera.
Seventh Crystal
Dopo esserci adeguatamente rifocillati, ci spostiamo all’interno del Live Music Club dove sta per iniziare il Festival vero e proprio. La prima band in programma è ancora una volta svedese. Si tratta dei Seventh Crystal, per chi scrive una delle più interessanti formazioni provenienti da una delle scene più prolifiche d’Europa, talmente prolifica da risultare anche un po’ inflazionata.
Diciamo che tra le miriadi di gruppi provenienti dalla Svezia, questi ragazzi mostrano qualche idea in più ed un sound che pur partendo dall’hard rock melodico non disdegna di sconfinare in territori più heavy e di incorporare qualche elemento progressive, il tutto sottolineato dalla due chitarre di Emil Dornerus e Gustav Linde, che preparano il terreno per la voce stentorea del muscolare front-man Kristian Fyhr. Nel loro show hanno presentato quattro brani del nuovo album “Entity” senza tralasciare le produzioni passate. Ci sono piaciuti parecchio, speriamo di rivederli in azioni molto presto.
The Big Deal
Il brillante set acustico di qualche ora prima ha acuito l’interesse verso The Big Deal, spostandolo sulla dimensione artistica piuttosto che su quella estetica. Impresa improbabile quando a fronteggiare la band ci sono due belle ragazze come Nevena e Ana, ed il pubblico del festival è prevalentemente maschile. Però loro oltre che belle son pure brave, e nella mezz’ora a loro disposizione lo dimostrano ampiamente.
In particolare, Nevena che oltre ad essere una gran cantante si destreggia parecchio bene anche dietro alle tastiere. A lei vanno i nostri complimenti e le più sentite condoglianze per il grave lutto che l’ha colpita proprio nella giornata che la doveva vedere protagonista. Da grande professionista, ha comunque mantenuto l’impegno e la sua performance è stata impeccabile.
Questo pomeriggio abbiamo avuto la possibilità di ascoltare in versione elettrica tre dei brani già presentati in acustico, ai quali hanno aggiunto ‘Better Than Hell’, ‘Never Say Never’ e ‘I Need You Here Tonight’. Sicuramente da rivedere in azione con un set un po’ più lungo di quanto non sia stato possibile oggi.
Ronnie Romero
Si diceva di Ronnie Romero e di quanto sia ricercata nell’ambiente la sua potente vocalità. Abbiamo già detto della collaborazione con Ritchie Blackmore e Leo Leoni, a cui occorre aggiungere quelle con Michael Schenker e Adrian Vandenbeg per non parlare della sua militanza nei Sunstorm, nei Lord Of Black, negli Elegant Weapon insieme a Richie Faulkner dei Judas Priest, e nei Ferrymen al fianco di Mike Terrana e Magnus Karlsson.
Impegnato su mille fronti, Romero ha alle spalle anche un minimo di carriera solista, con diversi dischi di cover e, recentemente, con il suo primo album di inediti. Che, guarda caso, viene ampiamente rappresentato nel set elettrico di questo pomeriggio. ‘I’ve Been Losing You’ può richiamare i Whitesnake, ‘Chased By Shadows’ presenta elementi filo progressive mentre ‘Castaway To The Moon’ e ‘Vengeance’ ne mettono in rilievo il lato più strettamente metallico.
Accanto ai propri pezzi solisti, Romero presenta anche quattro cover decisamente importanti: con ‘Kill The King’ e ‘Stargazer’ ci ricorda che, per quanto brevemente, anche lui è stato un Rainbow, mentre ‘Rainbow In The Dark’ è il doveroso omaggio a colui che di Romero è sicuramente la principale fonte di ispirazione, Ronnie James Dio. Ma siccome questo è un festival ad alto tasso melodico, nel finale il buon Ronnie cala il jolly con una pompatissima versione di ‘Separate Ways’ dei Journey, accolta con un boato dall’intero Live Music Club.
Storace
I prossimi a salire sul palco sono gli Storace di Marc Storace, storico front-man dei mai troppo osannati Krokus, ma anche leader della band che porta il suo stesso nome.
Maltese di origine ma svizzero d’adozione, Mark è uno dei personaggi più caratteristici dell’intera scena metal, una sorta di Bon Scott in versione europea. Dall’alto dei suoi 75 anni, buona parte spesi sui palchi di mezzo mondo, Mark Storace riesce sempre a garantire grande qualità, sia in seno ai Krokus ma anche e soprattutto con la propria band, con la quale pare aver trovato la sua dimensione ideale. E anche questa sera non si smentirà, offrendo uno dei set più divertenti e convincenti dell’intero festiva.
Derivativo? Forse, è chiaro che nelle vene del front-man svizzero scorrono a fiumi i tre accordi anche reso famosi gli AC/DC, ma questo non ha mai fermato Angus e soci, non vediamo quindi perché dovrebbe fermare anche il buon Mark.
Nella sua band fanno bella mostra la grintosissima bassista Emi Meyer e la nuova entrata Anna Cara alla chitarra. Alla chitarra ritmica ed alla batteria troviamo rispettivamente Dom Favez e Pat Aeby. Come era lecito aspettarsi, una buona metà del set è dedicata ai Krokus, con una carrellata di brani storici che vanno dall’intensissima ‘Screaming In The Night’ al divertissement di ‘Midnite Maniac’ e ‘Rock’n’Roll Tonight’, passando per pezzi più tirati come ‘Hellraiser’ e ‘To The Top’. Ottimi anche i cinque estratti dai due album rilasciati a nome Storace, con particolare menzione per ‘Screaming Demon’ e ‘We All Need The Money’. Dulcis in fundo, una divertente cover di ‘American Woman’ dei Guess Who che vede l’ospitata a sorpresa di Ronnie Romero, salito sul palco per unirsi alla band.
Robin McAuley
Un altro ospite molto atteso è Robin McAuley, splendido settantaduenne irlandese con una gloriosa carriera alle spalle che lo ha visto passare dai seminali Grand Prix alla pluriennale collaborazione con Micheal Schenker, senza dimenticare la sua militanza nei Far Corporation, nel cast di ‘Raiding The Rock Vault’ a Las Vegas e, ovviamente, la sua carriera solista.
Già nella prima serata avevamo avuto modo di constatarne la splendida forma vocale, confermata ulteriormente dalla esibizione di quest’oggi. Ben spalleggiato da una eccellente line-up di musicisti italiani tra cui spiccano il bassista dei DGM Andrea Arcangeli ed il tastierista Alessio Lucatti dei Vision Divine, McAuley dedica buona parte del suo set al nuovo album “Soulbound”, nato in collaborazione con Alessandro Del Vecchio e caratterizzato da una vena piuttosto heavy che troverà riscontro anche oggi sul palco del Frontiers.
Sul finale ecco invece un doveroso omaggio agli album registrati come McAuley Schenker Group, con quattro brani devastanti come ‘Love Is Not A Game’, ‘This Is My Heart’, ‘Gimme Your Love’ e, per finire in assoluta bellezza, quel piccolo gioiello che è stata ‘Anytime’, con cui si conclude lo show.
Se Mark Storace ha portato via il premio per il set più simpatico, quello per lo show più emotivo spetta di diritto ai Mike Tramp’s White Lion, riuscitissima operazione nostalgia che vede il front-man danese riappropiarsi del marchio storico per riproporne i più grandi successi. Al suo fianco troviamo l’eccellente chitarrista Marcus Nand (no, non è Joe Perry, a cui però somiglia tantissimo), a cui spetta l’ingrato compito di non far rimpiangere una semi-divinità come Vitto Bratta, il bassista Claus Langeskov ed il batterista Kenni Andy.
Lo scorrere del tempo ha lasciato tracce di passaggio sul volto ma non sul fisico di Mike Tramp, questa sera in splendida forma sia dal punto di vista vocale che da quello della tenuta del palco. E per quanto sia impossibile pretendere la stessa tonalità di 40 anni fa, Tramp riprende i pezzi dei White Lion e li restituisce con tutta la credibilità di chi, in fondo, quei pezzi li ha scritti.
Sulla resa musicale, poi, bisogna far tanto di cappello a Marcus Nand, impeccabile nel riprodurre i suoni di Bratta. La setlist, per chi ha amato i White Lion (e ci vien da chiedere chi possa non averli amati…) è un colpo al cuore. I primi due album sono stati saccheggiati in abbondanza, e poter riascoltare piccoli capolavori come ‘Broken Heart’, ‘El Salvador’, ‘Hungry, e ‘Wait’ non ha prezzo. Con ‘When The Children Cry’ e ‘Lady Of The Valley’ abbiamo visto buona parte del pubblico con gli occhi lucidi. L’operazione nostalgia gli è riuscita benissimo, e francamente se dovessero suonare di nuovo questa sera, ci trovereste abbarbicati alla transenna.
Harem Scarem
L’ultimo sussulto di festival arriva dagli headliner di questa terza serata, salutati da tantissime bandiere canadesi che sono improvvisamente spuntate tra il pubblico,in onore degli Harem Scarem. Se Winger è stata la band più popolare di questi tre giorni di festival, la band di Harry Hesse e Pete Lesperance è stata sicuramente la più amata.
Ampiamente sottovalutati dal grande pubblico, gli Harem Scarem trovano il maggior apprezzamento in quella fascia di pubblico principalmente dedita alle sonorità AoR, anche se, nella realtà dei fatti, rinchiuderne il sound in un contenitore così piccolo è abbastanza fuorviante per non dire criminale. Nei loro brani c’è ovviamente grande enfasi sulla melodia, ma è sufficiente ascoltarli con attenzione e mente aperta per rendersi conto di quanto lo spettro sonoro coperto dalla band sia ben più ampio e complesso. La voce di Harry Hess non si discute, così come non si dovrebbe discutere Pete Lesperance, un chitarrista da gran classe che ha sicuramente raccolto meno consensi di quanti ne meriterebbe.
Nonostante siano usciti in un periodo storico in cui il genere cominciava a perdere colpi, travolto dalle nuove tendenze del cross-over e del grunge, l’omonimo disco di debutto (1991) ed il seguente “Mood Swings” (1993) sono considerati, a ragione, tra gli album più importanti del genere. E come tali, vengono ampiamente rappresentato questa sera occupando un buon 50% della set-list.
Brani come ‘Honestly’, ‘Hard To Love’ e ‘Distant Memory’ ci riportano indietro di trent’anni, ma suonano ancora fresche e meravigliosamente attuali. Non mancano alcuni richiami agli album più recenti e, soprattutto, al nuovissimo “Chasing Euphoria”. Cassidy Paris raggiunge la band per una sorprendente ‘The Death Of Me’ (da ‘Change The World’), mentre su ‘’Gotta Keep Your Head Up’ e ‘Sentimental Boulevard’ Harry Hess cede il microfono a Darren Smith. C’è spazio anche per far cantare anche Pete Lesperance, che propone ‘Boy Without a Clue dal suo album solista’, ed il bassista Mike Vassos, che invece presta la propria voce all’unica cover della serata, quella di ‘Summer Of ‘69’ di Bryan Adams.
‘Chasing Euphoria’, il pezzo che dà il titolo al nuovo album ha un riff di chitarra ed un ritornello che ti si piantano nel cervello per non uscirne più, ed è perfetta per concludere il main set. Il festival sta vivendo i suoi ultimi minuti, che si consumano nel breve spazio dell’unico encore della serata, una ‘No Justice’ che istiga al sing-along tutto il pubblico presente.
Si conclude così questa settima edizione del Frontiers Rock Festival, una manifestazione finalmente ritrovata e che ha fatto registrare un ottimo successo. Tanto che il buon Serafino Perugino si è già sbilanciato nel confermare che anche il 2026 avrà la sua edizione del FRF. E noi, ancora una volta, saremo presenti.