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Eugenio in Via di Gioia

Eugenio in Via Di Gioia: dove è andata l’ironia?

Festa all’Atlantico con gli Eugenio in Via di Gioia

La band torinese trascina il pubblico. Ma più di qualcosa non convince

Roma, 5 Aprile 2025  | Ph. © Giulio Paravani

Cammino lungo il viale che porta all’Atlantico Live, tra poco suoneranno gli Eugenio in Via di Gioia e d’improvviso mi sovviene il ricordo di un libro. Si chiama “Le Armi Della Persuasione”. Scritto da Robert Cialdini, psicologo statunitense, a distanza di decenni resta ancora una bibbia per chi si occupa di comunicazione persuasiva.

In esso sono elencati i principali strumenti per portare le persone a noi, facenti leva su meccanismi naturali di funzionamento del cervello e per questo molto potenti. Tra questi, la tendenza a valutare gli stimoli non in modo assoluto ma comparativo. Uno stesso stimolo potrà, quindi, avere valore percepito maggiore o minore, in modo inversamente proporzionale a quelli appartenenti alla stessa categoria insieme ai quali è presentato. Esempio di scuola: l’agente immobiliare che prima vi porta a vedere una serie di case brutte e care, e solo alla fine quella che realmente vuole appiopparvi.

Il discorso vale anche al contrario e racconta la mia situazione di adesso. Vengo da dieci giorni di ascolti continuativi di musica eccelsa, non il miglior viatico per raccontare un concerto di indie-pop italiano; non è una fortuna per la band che sta per esibirsi. Ammesso che davvero a questa importi di ciò che scriverò. Vista la buona affluenza di pubblico propendo per il no. Vincerà comunque, ma io scriverò comunque.

«Ciao!! Sono Camilla, per tutti Camo, vengo da Genova e ho 20 anni. Il mio percorso musicale inizia da piccola con il pianoforte che ho studiato in conservatorio, e nel frattempo imparo anche a suonare la chitarra. Ho sempre adorato cantare e da qualche anno ho iniziato a pubblicare le mie cover sui social sperando di riuscire a trasmettere tutte quelle sensazioni ed emozioni che provo mentre canto.»

È la presentazione che fa di sé, su una pagina Instagram, l’artista alla quale è demandata l’apertura della serata. Camilla Guano, in arte Camo; pianoforte e voce.
Poche righe che non potevano meglio sintetizzare cosa sia diventata la musica italiana in epoca social 2.0. Le sensazioni e le emozioni che mi trasmette sono le stesse che provavo negli anni della mia adolescenza, durante le esibizioni dei gruppi del liceo durante le assemblee o nelle feste di fine anno della scuola. Dalle cover in cameretta ai palchi dei grandi club italiani.

Camo

Il set di Camo dura quindici minuti o poco più, a conferma di un repertorio ancora fin troppo scarno. «Mi hai detto ti amo ma forse era presto ed io non ho risposto. Scusami non volevo illuderti». Canzoni che un tempo finivano nascoste nei cassetti delle scrivanie di centomila adolescenti oggi sono eseguite ogni sera davanti a migliaia di coetanei. Passano direttamente dai canali tiktok ai grandi tour. Fatte passare per grandi pezzi, ingannano l’orecchio di chi ascolta e deformano irrimediabilmente il gusto. Identiche ad altre trentamila, forse proprio per questo applaudite come un tempo lo erano quelle di Dalla e De Gregori. Vince l’effetto alone degli headliner, vince l’identificazione con chi si percepisce simile e la speranza che in quanto tale si potrà, un giorno, avere successo. Vincono loro che sono giovani.Io non lo sono e perdo. Ma lo scrivo.

Gli Eugenio in Via di Gioia sono annunciati dal titolo del loro recente album, uscito due settimane fa e seguito da questo tour. “L’Amore è Tutto” è una traduzione in musica degli spot del Mulino Bianco anni 80 e 90. Sparano nel mucchio e vincono facile, facilissimo. Vincono i sogni e non le solide realtà. Se durante l’esibizione di Camo pensavo alle sedicenni che affidavano al diario i tormenti, ora che vedo campeggiare a grandi lettere, nel videowall di fondo palco il titolo del disco, il mio pensiero va immediato al “Metodo Ludovico” di deprogrammazione subito da Alex DeLarge.

Io sono un misto di rabbia e dispiacere. Quella che ascolto è musica senza spessore. Melodie scontate, arrangiamenti scolastici, canzoni che suonano come sul disco, senza un guizzo, senza scossa, senza uscire dal tracciato del risaputo. Insomma, brani in linea con l’elettroencefalogramma piatto del pop italiano, che ottengono il facile consenso del pubblico. Ed è un peccato.

Lo è perché la qualità del suono stasera è inaspettatamente buona. Forse perché sono posizionato sul fondo della venue, forse perché l’assenza di chitarre elettriche toglie alcune frequenze, o per la bravura del tecnico del suono. Poi perché gli Eugenio in Via di Gioia sono simpatici, sanno stare sul palco in modo intelligente e divertente. Forse a volte un po’ “telefonato” (appello non a loro, ma a tutte le band che si esibiranno a Roma: stop alle disquisizioni su carbonara e amatriciana). Mi dispiace perché sono bravi musicisti. Sanno suonare e in alcuni pezzi si sente. Ma questo lo sapevo, perché nel marzo del 2015 ero anche io ad ascoltarli a ‘Na Cosetta ed è il motivo della mia presenza qui stasera

E il meglio lo offrono nei brani estratti da lavori passati. Sarà un caso? A partire da ‘Prima di Tutto Ho Inventato Me Stesso’, ripescato dal loro primo EP “Urrà”. I richiami alla canzone jazzata, le variazioni ritmiche, il finale con fraseggi blues lo portano ben al di fuori del territorio del pop dozzinale. Azzeccata la trovata del Cubo di Rubik formato maxi risolto sul palco da Eugenio Cesaro. ‘Obiezione’ ha un bel tiro ritmico, sonorità dal sapore folk d’oltremanica ed è energizzante la batteria che va insieme allo strumming della chitarra acustica.

Con ‘Umano’ arriva il momento di muoversi un po’ e il palco prende vita con luci vivaci rosa, gialle e azzurre. A proposito, light show sobrio ma efficace: quattro pannelli luminosi, ciascuno dietro posto un componente. ‘Sette Camicie’ è una bella parentesi di cantautorato stralunato; una corsa senza freni solo piano e voce, un po’ Jannacci, un po’ Capossela un po’ Lucio Leoni di ‘A Me Mi’. Divertente la trovata di prendere alcuni cellulari alle persone presenti nelle prime file.

Eugenio in Via di Gioia

Ironia e originalità sono qualità degli Eugenio in Via di Gioia. Ma stasera me ne aspettavo di più. Cinque/sei pezzi su ventitré non bastano. Il resto sono canzoncine sentite migliaia di volte. È il seguire una formula collaudata quanto abusata e scontata che porta sicuramente risposte in termini di pubblico, ma annoia. Ma soprattutto mortifica le potenzialità di una band che, dimostra qualità anche nell’esecuzione a cappella di ‘Giovani Illuminati’.

L’afflato ambientalista di ‘Terra’ ricorda la gigantesca scritta di piazza San Carlo, a dichiarare eterno amore al pianeta, realizzata alcuni anni fa su iniziativa della band. Non è il solo episodio isolato per una band che ha lanciato anche in altre occasioni iniziative argute e sottilmente provocatorie. Anche volgere la presenza degli smartphone, incubo degli artisti durante i live, in uno strumento a proprio vantaggio, come nel finale della serata.

Allora la domanda resta una sola. Perché omologarsi alla deriva del pop italiano? Perché un disco da “Baci Perugina”? La risposta in realtà è davanti ai miei occhi e sono le migliaia di braccia ondeggianti durante l’outro di ‘Tornano’. Come premesso all’inizio, hanno vinto loro. Io ho perso. Ma ha perso anche la musica che poteva essere, e stasera non è stata.

 

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