
Emma Nolde: un’insolita festa di Carnevale
L’ovazione di Roma per Emma Nolde
Trionfo, ospiti ed ennesimo soldout nella tappa al Monk del Nuovospaziotempo Tour
Roma, 27 Febbraio 2025
Ph. © Giulio Paravani
Riflessioni pre-concerto di un quasi boomer. L’ossigenazione dei terreni destinati a coltivazioni non può prescindere dall’aratura. Momento solenne, va onorato e rispettato. Stessa funzione ha la musica mandata nelle casse durante i momenti che precedono un live. L’attesa di Emma Nolde è accompagnata dai Joy Division e dai Radiohead, dal vociare in pochi sembrano farci caso. Ma per fortuna è quasi subito opening.
Orelle, nata come Elisabetta Pasquale. La collaborazione di Fabrizio Bosso in “Argo”, suo primo album datato 2017 è un biglietto da visita che non trovi per caso nelle cabine telefoniche. Il 21 marzo uscirà “Monstera”, suo nuovo EP. Sul palco del Monk insieme ad Ava Alami, artista italo-iraniana, voce che aggiunge il colore e la personalità di uno strumento musicale in più. In due creano ricercate armonizzazioni vocali, nutrimento di bellezza per le orecchie e non solo. Polistrumentista, imbraccia una Telecaster insieme alla quale ci guida in un mondo in cui jazz e pop trovano sintesi.
Racconta sé stessa con intensità e semplicità. Pezzi interessanti e se avesse a disposizione una band anziché la sola e solita, chitarra, forse lo sarebbero di più. Le esigenze logistiche e di allestimento del palco non fanno sconti, ma sarebbe bello, ogni tanto, fare delle eccezioni. Tuttavia, se l’obiettivo dell’opening è quello di farsi conoscere e invogliare ad approfondire l’ascolto dell’artista, si può parlare di bersaglio raggiunto; almeno per me.

C’è una tipologia di artiste che non trova quasi mai in Italia una adeguata rappresentazione all’interno dei canali del mainstream. Troppo spesso alle donne è richiesta un’inversione a U come dazio da versare all’industria dello spettacolo. Chissà se Orelle, se riuscirà a mantenere la sua identità musicale e artistica e al contempo guadagnarsi la ribalta di palcoscenici importanti. O che cosa sarebbe stato se avesse scelto la via dell’estero.
Il pubblico è numeroso il trasporto con il quale accoglie le canzoni è il segno del cambiamento. Noi ci sputavamo la vita addosso e non di rado riempivamo di sputi, non solo metaforici, band e artisti che aprivano i concerti. Il sempre rimpianto Roberto Freak Antoni avrebbe da dire qualcosina.
Al Monk raramente ho visto un affollamento come stasera, almeno nelle prime file dietro la transenna. Decido una variazione nelle procedure e mi piazzo attaccato al palco, di lato. Regola aurea dei prestigiatori è il non permettere a nessuno di guardare il loro spettacolo da posizione che non sia frontale. Ma mi piace vedermi i live da una prospettiva che si avvicini a quella dell’artista. E mi godo la visione dei fan nelle prime file e dei fotografi nel pit, stasera suddivisi in due turni per le tante richieste di pass.
L’acustica non sarà delle migliori, la musica arriva dalle spie di palco, ma la posizione è quella preferita dai timidi e dagli introversi. Il palco è il posto di un locale in cui si trova il minor numero di persone. Chissà che non sia così anche per Emma Nolde, che, appena sul palco, rimarca in primis la timidezza sua e di tutta la band. A vederli così mascherati non si direbbe, o forse sì. La cantautrice di San Miniato è accompagnata dall’inseparabile Marco Martinelli alla batteria e da due polistrumentisti: Andrea Beninati, violoncello, basso elettrico e percussioni e Francesco Panconesi alle tastiere e al sax tenore.
Il mio primo pensiero è: «ma come si sono vestiti?». Chi da pirata, chi indossando un giubbotto a frange a metà tra Peter Fonda in Easy Rider e un film di John Ford, chi con una mise simil clownesca. Emma Nolde invece mi spiazza con una camicia bianca svolazzante, gilet color terracotta, pantaloni neri, cappello nero a punta che le conferisce un’aura di maga dei boschi. È Giovedì Grasso, ma arriverò solo parecchie canzoni dopo a realizzarlo. Intanto ci preannuncia rivelazioni sull’outfit nel corso del live.

Vidi Emma Nolde per la prima volta nell’estate del 2021, in apertura di quella vecchia canaglia di Lucio Leoni. Batteria, chitarra, loopstation e sequenze: fu una sorpresa. La incrociai nuovamente alcuni mesi fa sul palco dello Spring Attitude e la trovai vocalmente più sicura. Il concerto di stasera sancisce ufficialmente la sua uscita definitiva da quel maledetto limbo etichettato come “cantautorato emergente”.
Centrata e consapevole della sua energia, ha trasformato la sua timidezza in alleata. Due ore di concerto, un’intro e venti brani, che scorrono con fludità. Gioca con l’utilizzo dell’harmonizer «con quel trucco che ti sdoppia la voce» [cit.] ma senza esagerare. Il violoncello conferisce ariosità e apertura come in ‘Universo Parallelo’ e diventa protagonista nell’outro di ‘Resta’, lanciato da una batteria che lavora sulle dinamiche lavorando su timpani e tom. Ma l’epifania del successo arriva durante ‘Sorrisi Viola’.
Brano elegante, introdotto da una chitarra e caratterizzato dal pizzicato del violoncello passato, presumibilmente, in un chorus. Il silenzio del Monk deflagra in un cantato collettivo all’unisono lei. Quando i fan passano le due ore del live a cantare con te, dopo aver fatto la gara per conquistare transenna e prime file e arrivano a chiederti di eseguire le canzoni sollevando dei cartelli sopra le teste, probabilmente tu, Emma Nolde, ce l’hai fatta.
Rispetto al set presentato cinque mesi fa a Cinecittà, gli arrangiamenti abbandonano un po’ l’elettronica e andando più verso sonorità pop e rock. Alcuni pezzi li trovo un po’ troppo Negramaro nella struttura, almeno per i miei gusti. Gusti che invece trovano pane per i loro denti in ‘Voci Stonate’, quando rap ed elettronica si riaffacciano, tra sequenze martellanti, groove di basso e batteria, luci rosse e bandiera arcobaleno LGBT sventolata durante lo strumentale finale.
Ma soprattutto in ‘Berlino’, momento più sperimentale e venato di oscurità dell’intero set e forse dell’intera sua discografia. Scritta senza aver conosciuto la città, metafora di un luogo che non esiste se non nella nostra immaginazione, un’isola che non c’è. Atmosfere sono lunari, decadenti e le sonorità cupe. E chissà se avrà ascoltato il Bowie di ‘Low’.
Poi gli ospiti. il primo inaspettato. È un ragazzo che le inviò tempo fa una riscrittura delle barre di rap inserite in ‘Punto di Domanda’. È tra il pubblico ed è invitato a cantare e ad abbandonarsi alle sue coccole. Il secondo è accolto da ovazione. Niccolò Fabi è un’apparizione che esegue ‘Punto di Vista’, con i riverberi e delay degli archi a contorno di una Emma Nolde visibilmente emozionata. È il momento di climax emotivo della serata.
Si va verso la naturale conclusione attraversando l’assenza, la solitudine e la rabbia di ‘Te Ne sei Andata Per Ballare’. Ricorda così la sorella trasferitasi in giovanissima età per seguire la passione per la danza. ‘Sfiorare’ è una sequenza ostinata drum and bass con interventi del sax, mentre in ‘Mai Fermi’ una chitarra alla The Edge accompagna lo svolgersi del ritornello.
Ancora la chitarra è protagonista in ‘Sempre la Stessa Storia’, pezzone di quelli che nei live lasciano il segno. Imbraccia la sua Bacci, chitarra di liuteria toscana, e il suono si carica di cattiveria, grinta e distorsione. Niente sconti per nessuno. Batteria tribale, uno stop, una gag sui tormenti sentimentali del batterista, uno dichiarazione al bassista e poi via con uno strumming finale distesa a terra.
Nel primo dei tre bis l’harmonizer si affaccia nuovamente nella solennità di ‘Sconosciuti’, scandita dai colpi della batteria sul battere dell’uno di ogni battuta. ‘Fluttuando’, plana su una coda anni Ottanta con un solo di sax su una chitarra pulita. Indossa ancora il cappello a punta per la rivelazione finale: si è mascherata da torero. Dopo per colto qualche espressione di perplessità nelle prima file, ammette che qualcosa deve essere andato storto. Il motivo non serve spiegarlo: «La conoscete tutti questa, vero?». ‘Il Costume da Torero’ di Brunori Sas è il saluto al suo pubblico.
In una famosa serie italiana, un protagonista pronuncia una frase diventata cult e finita anche sulle magliette. Io non so se siano stati i toscani a rovinare questo paese, ma, tra lanci di coriandoli e stelle filanti tra il pubblico, mi comincio a chiedere se non potranno essere loro a salvarne, almeno in parte, la musica d’autore. Non so se accadrà, ma spostandosi dall’appennino verso il mare, tra Appino, Bobo Rondelli, Motta, Lucio Corsi ed Emma Nolde, nessuno può dire che non ci stiano provando.
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Orelle
Emma Nolde