Daniele Silvestri live a Collegno (TO): de Roma, de sinistra, de core
“Dallo smemorato alla Smemoranda”: questo poteva essere un buon titolo per unire la storia dello smemorato di Collegno all’evento della Smemoranda che ha il suo culmine nel reading di Guido Catalano, prima del concerto di Daniele Silvestri.
Guido Catalano è poeta torinese che vanta un incredibile numero di tentativi di imitazione. È uno che vende un sacco di libri. Erre moscia, affabulatore gesticolante, “brevilineo”, ma sappi che la tua fidanzata lo trova piuttosto sexy. Le sue poesie hanno un umorismo atipico che ha conquistato tutti i localacci di Torino, per arrivare a fare spettacoli davanti a grandi platee in tutta Italia. Mi piacciono particolarmente molti finali, che non cercano forzatamente il battutone ad effetto “alla Zelig”, ma chiudono con un’immagine che porta il testo da un’altra parte, anche elevandolo, comunque sciogliendolo dai lacci e lacciuoli del “far ridere”.
Credo sia il primo concerto nella mia vita in cui porto l’ombrello, ma giuro che era indispensabile: non lo avessi portato avrebbe sicuramente piovuto. Grazie a me dunque il pericolo pioggia è scongiurato e possiamo goderci Daniele Silvestri asciutti e contenti.
Daniele Silvestri ha ormai la strada spianata per l’Olimpo dei grandi cantautori italiani. È uno di quelli che scrivono canzoni su “tutto”, ma proprio tutto: amore, politica, attualità, costume, cacca. E allora per questo concerto classifico la storia in tre paragrafi fregandomene delle ovvie forzature e dell’uso di una parlata che non è la mia.
Il Daniele Silvestri de Roma
Pensate al romanaccio ‘Testardo’, de legno, de coccio, “De Chirico”, che quando si mette in testa una cosa non se la leva più. Un moderato accento e una simpatia inappuntabile quando racconta, improvvisa o presenta la band, mi inducono questa profezia: entro 4/5 anni lo vedremo come presentatore del Concertone del Primo Maggio.
Il Daniele Silvestri de sinistra
Certo, viene subito in mente la famosissima ‘Cohiba’ (forse non sa che, a due minuti dal palco su cui sta suonando, a Collegno abbiamo Piazza Che Guevara, caso rarissimo in Italia).
Tra le canzoni “politiche” che suona oggi ce ne sono due molto belle, apparentemente due facce della stessa medaglia: ‘A bocca chiusa’ e ‘Voglia di gridare’ sono due immagini che non si escludono, anzi si completano. C’è la prima, timida ma indomita e mai arresa, e la seconda, robusta ma piena di incertezze perché «lo slogan è fascista di natura». La prima è cantata in solitudine al piano come quella volta a Sanremo 2013, invece la seconda ha bisogno del “gruppo” dall’inizio, che deve «solo partire quando dico: via». Si parla di scendere in piazza, di unirsi a un corteo, ma non automaticamente a un coro. I due modi e/o punti di vista sono differenti ma non divergenti, evidentemente coesistono, e forse trovano una sintesi nell’‘Uomo col megafono’.
Di “rosso” c’è anche l’agenda rossa del giudice Paolo Borsellino in ‘L’appello’, tema non di sinistra ma “politico” nel senso più generale e necessario.
Il Daniele Silvestri de core
Eccolo a cuore aperto e dente storto per fare innamorare gli ‘Occhi da orientale’, ma conquistarli possibilmente anche con lo swing leggiadro di ‘Le cose che abbiamo in comune’. A metà ci sta ‘Amore mio’ e diverse sfumature di tono, intensità e bpm per parlare di una ragazza o a una ragazza. Opinione di molte (non so quanto valga il mio campione) è che da giovane fosse bruttino, ma ora più brizzolato sia molto attraente.
Dovrei forse aggiungere il Daniele Silvestri “acrobata”, perché è uscito il disco “Acrobati”, perché durante l’omonima canzone si alza in piedi su una sedia a cantare tenendo un po’ tutti col fiato sospeso. Ma soprattutto perché acrobata è sempre stato con le parole, tra il quasi-rap e gli scioglilingua alla ‘Quali alibi’.
Il concerto dura due ore e mezza e durerebbe anche di più se non ci fosse il coprifuoco solito degli eventi all’aperto. Per chiudere, tutta la band ai tamburi e alle percussioni a fianco al batterista Piero Monterisi, che accompagna Silvestri da sempre.
22 Luglio 2016, purtroppo il Flowers Festival volge al termine. A Torino e dintorni è il festival più longevo di tutti, certo ha cambiato nel tempo nomi e organizzatori, ma l’area è sempre quella e alla fine è quello che conta. Accanto all’arena dove si svolgono i concerti c’è un locale, il Padiglione 14, che nei primi ’90 ha ospitato concerti di nomi grossi quando non erano ancora nessuno (Afterhours, Tiromancino e altri). Questo parco, un tempo ospedale psichiatrico, è un luogo magico di aggregazione per giovani, famiglie, monelli e vagabondi. Attrazione di corpi e di anime. Le rovine di questo manicomio sono un tempio che sembra fatto apposta per il rock.
«Va bene adesso controlliamo se ricordi la fine, quando dico “ciao” stacca tutte le spine.»
Ciao!
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