
Bobo Rondelli: la verità sbattuta in faccia
Una serata a Roma con l’artista livornese e le sue “Storie Assurde”
Al Monk un’ora e mezza di musica di strada e vita così com’è
Roma, 23 gennaio 2025
«Bobo Rondelli è la Verità»
Parole che escono come un flusso di coscienza dalle labbra di una persona che lo conosce. Forse sono le parole che ho in testa anche io, se i concerti che lasciano il segno non mi provochino turbamento e temporaneo decadimento delle abilità verbali. Attendo la ricaptazione dei neurotrasmettitori prima di dare ordine agli eventi.
I Leopàrdvjolet… à la française, apertura della serata, sono scoperta e sorpresa. Jole Canelli e Leo di Dante, vocalist e chitarrista, maremmani di radici, da qualche anno a Roma. Già collaboratori del cantautore livornese durante le registrazioni di “Cuore Libero”. A capire il nome del loro progetto ci metto un po’ e dovrò chiedere conferma a loro stessi, al termine della serata. Ad apprezzare la loro musica sono molto più veloce.
Nella loro proposta artistica si miscelano sonorità jazz, swing e blues. La voce di Jole profonda e graffiata si muove su registri da contralto. Cattura l’attenzione con presenza sorridente ed energia. Accanto a lei, Leonardo suona la chitarra acustica sfruttandone appieno anche le potenzialità percussive, all’occorrenza tenendola orizzontale sulle ginocchia. Riverberi e delay, usati con sapienza, creano il tappeto armonico tridimensionale, che accoglie, sostiene e valorizza le linee melodiche della voce. Intelligente la scelta di presentare un set essenziale di quattro pezzi. “Carte Nuove”, brano originale, è la storia di un amore perso alle carte che cattura e merita ascolto.

Tra questa canzone e la chiusura con la loro versione di ‘Babbo Apache’, di Bobo Rondelli stesso, scelgono di giocare con il fuoco preannunciando una cover di un noto pezzo dei Police. Tremo pensando a ‘Every Breath You Take’, gioisco e freno una ola quando avverto l’intro di ‘Walking On The Moon”. Padroneggiano le fiamme senza scottarsi, la personalizzano senza stravolgerla. L’eleganza armonica e l’andamento reggae della canzone ne escono con un nuovo vestito, ma il pezzo mantiene la sua identità. Se Sting fosse francese direbbe «chapeau».
Non sono mai stato a Livorno, la conosco solo dai racconti di chi vi è nato o vissuto. Allora lavoro di immaginazione e penso che quella di Bobo Rondelli sia la verità che si annida nelle strade della città labronica, nelle sue bettole e nei piatti di cacciucco, nelle bestemmie dei portuali, che anche Dio ci si fa due risate. Nei palazzi dei quartieri proletari e popolari raccontati da Virzì. Nelle vite bastarde e maledette cantate da Piero Ciampi. Nelle pagine del Vernacoliere, l’ultimo posto rimasto dove si può ancora scrivere “culo” e “fi’a”, fare ironia al vetriolo su politici, sesso, preti e Chiesa senza scatenare petizioni di protesta inutilmente moralizzatrice.

La verità la dico anche io. Ho spesso immaginato come avrebbe potuto essere un concerto tenuto in un locale della città di mare toscana. Stasera credo di avere una risposta parziale. A fornirmela, prima ancora del cantautore livornese, è il pubblico del Monk. Urla, battimani, schiamazzi, lazzi costellano la performance lungo tutto l’arco della sua durata; segnali di un’esuberanza difficile da contenersi come l’argento vivo dei discolacci che dall’ultimo banco tirano cartoccetti e palline di carta al professore in cattedra.
Ma stasera il professore è peggio di loro. Bobo Rondelli rilancia con il carico da undici e un sorriso a metà tra il beffardo di chi la sa lunga, la solitudine del genio, l’amaro di chi ne ha passate tante, e l’ombra di sofferenza a far da sottofondo e a ricordarti che qualsiasi cosa ti faccia la vita un sano «‘r budello di tu ma» sta bene sempre e comunque su tutto; e ne esci vivo e vincitore.
Se poi sei accompagnato anche da un ensemble come quello di Musica da Ripostiglio la cosa è ancora più facile. Quartetto composto da Luca Pirozzi e Luca Giacomelli alle chitarre, Raffaele Toninelli al contrabbasso ed Emanuele Pellegrini alla batteria e percussioni. Musiche e arrangiamenti jazz, manouche, swing, in un paio di casi con il sapore del country. Mood di strada, buskers, contadino, nomade e circense e l’odore della segatura per terra [cit.] nelle narici. Abili comprimari nell’interazione giocosa e surreale con il cantautore livornese, ma anche padroni della scena in due intermezzi strumentali in cui danno abile prova delle loro eccellenti e trascinanti capacità istrioniche e teatrali.

Nell’ora e mezza trovano spazio storie e personaggi provenienti da un bestiario di vita, storia e ricordi di strada. Citazioni di ‘One Step Beyond’ (non i Madness, si badi bene ma il cantante giamaicano Prince Buster) e delle famose patatine da essa pubblicizzate. Si ascoltano acconti di pruriti adolescenziali in ‘Balcone’, si annega nel vortice nero della lacerazione amorosa di ‘Quando Non Ci Sei’. Ci si scalda ascoltando che il voler bene che è più dell’amore perché per amore si può uccidere, mentre a chi vuoi bene non faresti mai del male per nulla al mondo.
Amore, amarezza, lirismo, vetriolo. L’ironia su Andrea Bocelli introduce ‘La Chiappona’, primo singolo estratto dal suo ultimo “Storie Assurde”. Esaltazione della bellezza autentica, quella fuori dal politicamente corretto e dai comandamenti del mondo di Instagram. Le canzoni sono introdotte da storie surreali, dissacranti ed esagerate. Nello strascicato swing di ‘Mantenuto’ un Marcello Mastroianni che si aggira per Livorno, che non porta donne alle festa perché «e se c’avevo una fi’a restavo a casa, ti pare che venivo qui da voi» incontra un aitante ragazzo che si accompagna a una ricca signora molto avanti con gli anni.
Un arrangiamento a metà tra il Bennato di ‘Mangiafuoco’ e il Vecchioni di ‘Samarcanda’ è quello de ‘Il Cielo di Tutti’, testo di Gianni Rodari e chiusura con le imitazioni dichiarate e centrate di David Bowie e Mick Jagger, presentato come «quello che è ancora vivo». Storie di tassisti di notte e di puttane, di bordelli e di gigolò a Rotterdam. E per gli appassionati di enigmistica la sottolineatura dell’anagramma di Roberto Rondelli.
L’amarezza di un vecchio che vola nel vento con le sue storie, il disprezzo per l’ipocrisia borghese dei finti pacifisti, l’antimilitarismo che omaggia i disertori in ‘Madame Sitri’ e un arrabbiato «vaffanculo a chi manda i ragazzi a morire». I momenti amarcord: la storia della famiglia e di suo zio Berto “performer di bestemmie i grammelot emiliano”, il rievocare gli anni spensierati delle cover dei classici del rock and roll con ‘Blue Suede Shoes’ e quelli degli Ottavo Padiglione, con ‘Storie Assurde’ e ‘Ho Picchiato la Testa’. Un concerto di Bobo Rondelli va visto e spolpato come le lische della zuppa di pesce alla livornese.
Ma a mettermi al tappeto è la combinazione di gancio al fegato e uppercut al mento che arriva senza preavviso. La dichiarazione d’amore in ‘Nara F.’, che merita silenzio e lacrime di vita.
Se ti sogno so che in cielo sei accudita Sono stato nel tuo grembo e nella vita del tuo grande amore l’anima è riempita Vai, vola via, tienimi dentro, come hai sempre fatto quand’ero qui con te. Vai vola via, tienimi dentro, dammi quella pace che non ti diedi mai
Roberto Rondelli è la Verita e il suo anagramma è “bordelli tornerò”.
Boia dé.