Black Mountain live a Segrate (MI): loud and (too much) proud

Di nuovo in Italia dopo le date estive, di nuovo al Circolo Magnolia di Segrate (MI) a un anno di distanza, i Black Mountain si concedono un altro sabato sera italiano, scegliendo il 5 novembre per questa toccata e fuga milanese dalle parti dell’Idroscalo.

Seguendo alla lettera il celeberrimo detto “gruppi spalla e buoi dei paesi tuoi“, il collettivo canadese si appoggia per lo show di apertura a un altro gruppo che arriva dal Canada, i Comet Control. Spingono sui volumi, in certi passaggi forse troppo alti, e con un mood in un qualche modo figlio del grunge propongono riff piuttosto semplici e una voce quasi strascicata, suonando in modo diretto e senza fronzoli. Affascinante e accattivante il loro approccio indolente anacronistico, per poi prendere quota nel corso dei pezzi, con accelerazioni e variazioni di ritmo davvero interessanti. Fanno molto baccano i Comet Control senza che ce ne sia realmente necessità, ma con la mentalità e la resa giusta.

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L’entrata in scena dei Black Mountain è ben più teatrale e impostata: a passo lento, ‘Mothers of the sun‘ attacca quasi di sole tastiere facendo vibrare il terreno, decollando sottoforma di hard rock psichedelico che gioca sulla struttura a due voci. Elemento caratterizzante è proprio la voce della dotatissima Amber Webber, che sembra un po’ soffrire quando viene messa in disparte per far spazio alle divagazioni sonore, giochicchiando col tamburello o con vocalizzi di accompagnamento. Meno prestante, ma piacevole ed efficace la voce maschile, quella del chitarrista Stephen McBean, che si mescola bene alle divagazioni di chitarra e tastiere.

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Avviene così per ‘Tyrants‘, con un inizio epico che lascia spazio a una lenta ipnosi con importanti cambi di velocità. I Black Mountain mettono insieme molti elementi, pure troppi, alternando un virtuosismo vocale ben riuscito e un autocompiacimento nell’esecuzione altrettanto virtuosa a un psych blues più grezzo e graffiante, come ‘Rollercoaster‘, efficace e avvolgente. La disfonia delle due voci, che a tratti sembrano andare ciascuna per la propria strada, lascia un attimo straniti, ma il tempo e i riff usati sono ammiccanti e rendono il suono facilmente digeribile.

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Si arriva così al finale troppo marcatamente pinkfloydiano, ‘Space to Bakersfield‘ è persa nello spazio e carente sul tempo, con assoli che si protraggono anni luce e fanno scendere il tiro del concerto. Il rientro per un ulteriore pezzo è più brutale e prepotente, ‘No hits‘ riprende i riff di blues psichedelico dall’effetto trascinante e segna un nuovo punto favorevole in chiusura. Le diverse identità dei Black Mountain convivono nella loro performance live, da una parte gli schiaffoni di chitarra addolciti da una voce impeccabile, dall’altra il sottile piacere della divagazione che diverte forse più il gruppo che non il pubblico, forzatura che convince un po’ meno.


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Matteo Ferrari

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Nato nel 1984 nell'allora Regno Lombardo-Veneto. Un onesto intelletto prestato all'industria metalmeccanica, mentre la presunta ispirazione trova sfogo nelle canzonette d'Albione, nelle distorsioni, nei bassi ingombranti e nel running incostante.

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