Ardecore, racconti dal cuore popolare di Roma

In Sala Sinopoli all’Auditorium la presentazione live del loro ultimo disco

Con “996” gli Ardecore si confermano una delle realtà più importanti della capitale, tra tradizione e innovazione sonora

E alla fine l’Auditorium.
Forse il logico approdo per gli Ardecore, la consacrazione definitiva sull’altare della musica istituzionale a Roma.
L’occasione è la presentazione della loro ultima fatica: “996”.
“996” era l’acronimo in grafia ottocentesca con cui Giuseppe Gioachino Belli firmò una buona parte dei suoi sonetti.
A partire da qui, la band capitanata da Giampaolo Felici si è impegnata in un progetto sfidante e ambizioso quale la messa in musica di trenta sonetti del poeta romano.
Il risultato sono ventotto canzoni, pubblicate in un doppio volume in formato digitale.
I brani sono scaricabili attraverso due QR Code, inseriti in un libro contenente i testi con note autografe del Belli, le partiture delle musiche, illustrazioni originali e la prefazione di Marcello Teodonio, presidente del Centro Studi Giuseppe Gioachino Belli.
Poiché credo sia fondamentale per apprezzare i concerti dal vivo il modo con cui si approcciano e preparano anche da parte del pubblico, faccio il mio con due pezzi di pizza bianca e mortadella, comprati in una gastronomia trasteverina.
Poi il tempo di percorrere un lungotevere sorprendentemente privo di traffico e sono nella Sala Sinopoli.  

Non ce n’era bisogno, ma la band conferma ancora una volta una definitiva maturità, che prende forma in un eclettismo ed equilibrio sonoro non comuni.
Le diverse matrici e provenienze artistiche dei musicisti si compenetrano e si amalgamano in una ricetta in cui gli ingredienti possiedono personalità e identità riconoscibili e contribuiscono alla resa sonora dell’evento.
Accanto agli strumenti della tradizione popolare e folkloristica (percussioni, trombone, mandolino fisarmonica) trovano spazio i suoni elettrici ed elettronici (synth e mellotron, le chitarre elettriche e acustiche) di Felici e di Adriano Viterbini, creatore con il whammy pedal di sonorità che potrebbero ritrovarsi tranquillamente all’interno di un live dei Rage Against the Machine.
Si passa da canzoni con arrangiamento bandistico (‘La Providenza‘), a tiratissime danze tarantolate in 12/8 (‘Er Cimiterio de la Morte‘), a pezzi modali costruiti su un unico accordo e cantati a cinque voci, secondo i nodi del tradizionale canto contadino con microvariazioni giocate sulla terza dell’accordo, ora maggiore ora minore, come ne ‘La Poverella‘.
Fanno la comparsa anche le tradizionali stornellate e la ricerca degli Ardecore si spinge fino a trascinanti canzoni flamenco (‘Er Coronaro‘ ed ‘Er Biastimatore‘) e rumbe caraibiche (‘Vonno Cojonatte‘)
La prima parte termina con ‘La Creazzione der Monno‘, in cui entra prepotentemente l’elettronica, oscuri tappeti di sintetizzatori e scudisciate infuocate di chitarre sotto la voce profondamente romana e carica di pathos di Giampaolo Felici che inchioda alle poltrone.

Diversi sono i bis, fino ad arrivare ad ‘Accussì Va er Monno‘, perfetta sintesi di un manifesto intenso della filosofia di vita romana
Attraverso questa sapiente miscela, riprende vita la Roma ottocentesca raccontata dal Belli.
Una Roma maledetta, infame e carogna.
La Roma del popolino che fa la fame, di preti e cardinali, di poveracci, di commercianti falliti e costretti a morire di fame.
La Roma dei mendicanti, città oscura, con la morte che ti ti aspetta dietro ogni vicolo per sbeffeggiarti e che è essa stessa a precedere la vita “ar monno, e li bboni e li cattivi, li matti, li somari e li dottori so’ stati morti prima d’èsse vivi”.
Storie disperate di carcerati e condannati a morte, storie dissacranti, caustiche, ironiche e anarchiche.
Storie disincantate, strafottenti, e al tempo stesso drammatiche, amare e di un dolore squarciato come il ventre dei malcapitati “puncicati” nelle storie di coltello.
Quel modo di guardare alla vita che un tempo fioriva nei vicoli di Trastevere, di Parione, di Ponte, di Sant’Eustachio, di Ripa, e di tutti i Rioni del vecchio centro storico, e che oggi sbiadisce e si dissolve tra case vacanze, negozi di paccottiglie per turisti e monopattini.

E dopo quasi due ore si chiude con l’unico pezzo appartenente al repertorio passato della band: ‘Fiore de’ Gioventù‘, il sogno di un amore non corrisposto.
Ma per chi sogna d’amore è sempre primavera.
O almeno, ci illudiamo possa essere così.

Ardecore
Auditorium Parco della Musica
Roma, 08/10/2022

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