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Ana Carla Maza: la Cuba che tutti si aspettano (purtroppo)

Giulio Marino
di Giulio Marino
17 Maggio 2025
Ana Carla Maza

Il Caribe World Tour sbarca a Roma

Il talento e le suggestioni di Ana Carla Maza incantano, ma con qualche eccesso di troppo

Roma, 6 Maggio 2025 | Ph. © Stefano Panaro

Abito bianco, con un grande fiocco dietro. Un po’ troppo confetto, ma comunque intonato con la naturale e irrefrenabile esuberanza dei Caraibi. Ci accoglie cosi Ana Carla Maza, sul palco dell’Auditorium Parco della Musica. Trent’anni tra un mese, ora nel pieno vortice del duo Caribe World Tour, tra Stati Uniti, Europa, Asia, Australia e America Latina.

Respira musica fin dalla nascita. Papà polistrumentista jazz, mamma direttrice di coro. Cresce a La Habana, nel barrio di Guanabacoa, quello dei migliori rumberos della capitale, delle feste sfrenate. Crescendo, si trasferisce con la famiglia in Europa e si iscrive al Conservatorio di Parigi, dove si diploma in violoncello. In parallelo, studia etnomusicologia alla Sorbona. È dall’incontro tra i suoni e le tradizioni dei caraibi, il jazz e la tradizione classica europea che nasce la sua proposta musicale. Ma al contempo prende forma anche un pensiero.

«Quando passavo ore e giorni interi a studiare tutte le partiture classiche per violoncello mi colpiva che in nessuna di queste compariva il nome di una donna. Io spero che le bambine di oggi potranno suonare anche composizioni scritte da donne”

 E Ana Carla Maza decide di non limitarsi ad essere un’esecutrice. Fonda una sua etichetta discografica, inizia a scrivere e pubblicare i suoi dischi. “Caribe” è il suo terzo lavoro, registrato in sestetto, ma portato in tour in trio. Accanto a lei giganteggiano Milly Peres, eccezionale pianista, tastierista, corista e con dei meravigliosi capelli striati di rosso, e Jay Kalo, batterista tanto giovane quanto fenomenale, che passa con naturalezza dal “tresillo” cubano, al reggae, al rock, alle poliritmie afro, al samba e bossa nova, al tango.

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Sono in tre, ma a entrare in sala bendati, saremmo convinti di trovarci al cospetto di un’intera orchestra. L’energia dell’artista cubana è dirompente. Tiene la scena, canta, balla, dialoga con il pubblico che è dimostra subito un gran coinvolgimento nel flusso energetico e musicale. Pur nell’austerità naturale di una sala concerti, in molti tengono il tempo battendo le mani senza che siano sollecitati a farlo.

E poi nelle mani di Ana Carla Maza il violoncello prende vita. Diventa strumento ritmico e percussivo quando pizzicato o percosso; fraseggia come una vera sezione fiati; sfida l’attrazione gravitazionale quando l’archetto disegna sonorità classiche. La matrice di tutto è la musica cubana, ma sono tutte le sonorità caraibiche e latino-americane a essere filtrate, rilette e riproposte. Si va dal samba di ‘Bahia’, alla rilettura reggae di ‘Te Me Fuiste’. Qui la sua voce si abbandona a vocalizzi alla Desmond Dekker sui controtempi del violoncello usato come una chitarra, e si incastra con il magistrale lavoro del piano e una batteria alla Stewart Copeland, solo cassa e charleston

Ana Carla Maza

‘Piazzolla’ è un altro momento particolarmente intenso. Parla da sé, non serve aggiungere altro; basta il titolo. Tango, luci del palco rosse, chimes a rendere tutto sognante e sospeso, e la sua formazione classica, con arpeggi di violoncello che strizzano l’occhio a Pachelbel. Chiusura sul piano che si muove su accordi in minore, preparatori al crescendo finale.

‘Guanabacoa’ canzone dedicata al suo quartiere a Cuba è divisa in tre parti. Nella prima, il cantato si appoggia su un violoncello ondeggiante.  Il piano si conquista spazio per poi lanciare un incredibile solo di batteria, in cui Jay Kalo sembra teleguidato tale è la complessità delle sue figurazioni ritmiche. Infine, nell’ultima parte, Ana Carla Maza rientra con un fiammeggiante abito rosso per trasportarci nel barrio e lasciarci immaginare una sfrenata festa che duri tutta la notte.

Ma allora è stato tutto meraviglioso? No, non tutto, Perché Ana Carla Maza dà la sensazione di voler vincere facile (riuscendoci benissimo, peraltro) e nascondersi dietro la certezza del suo sex appeal e della presa della musica cubana sul pubblico. Eccede talvolta nella teatralità, è consapevole di essere bella e sensuale, ci gioca e ci punta; troppo. Fino al punto di far passare in secondo piano le sue capacità musicali, nascoste dietro ammiccamenti e movimenti morbidi e felini delle anche.

Ana Carla Maza

Capacità musicali che invece non possono sfuggire a un orecchio attento. Emergono, ad esempio, nell’esecuzione di ‘Pa’Abajo’, in cui emerge il suo background classico e lo studio di Vivaldi cui sembra ispirarsi.  Tuttavia, mi dà la sensazione di sfruttare il suo strumento ben al di sotto di quanto potrebbe. In rete si trovano esecuzioni dei suoi brani al solo violoncello, che tolgono il fiato, tanto sono cariche di pathos, sacralità, solennità ed erotismo ma di queste meravigliose performance stasera non vi è traccia. E un po’ sono deluso. Per capire a cosa mi riferisco, cliccate qui

Ana Carla Maza è una musicista eccezionale, ma ancora un po’ prigioniera di alcuni stereotipi con cui la cultura cubana è rappresentata in occidente, e dei suoi aspetti più immediatamente fruibili. In parte mi aspettavo altro; l’anima, la dignità, l’afflato universale di libertà, le storie, la poesia, la malinconia, che fa accapponare la pelle e farti piangere di Compay Segundo. Intendiamoci, stiamo parlando di una grande artista e di bel concerto, ma quella Cuba, affrescata e narrata dai Buena Vista Social Club, stasera è ben distante.
Lo ammetto, un po’ sono deluso; e preoccupato. Perché una versione femminile diStjiepan Hauser in modalità “Fiesta” è l’ultima cosa che vorrei vedere.