A Place to Bury Strangers live a Carpi (MO): il fascino dello sfascio

Da New York a Carpi: anche se suona come un delirio dei CCCP nel pieno degli anni ’80, si tratta del viaggio datato 24 marzo che ha portato gli A Place to Bury Strangers a suonare al Mattatoio Culture Club di Carpi.
Uno dei gruppi più emblematici dell’alternative rock rumoroso e potente degli ultimi dieci anni fa tappa nella provincia emiliana, la piazza del borgo è deserta, i bambini sono a letto e gli animali sono stati rinchiusi nelle loro gabbie insonorizzate.
Chi si avvicina al locale, è consapevole del rischio a cui sta andando incontro.

Come spesso accade, è un gruppo del circondario a farsi carico dell’apertura.
Questa volta tocca agli Ornaments, che stanno tra post-rock e post-metal, con forti influenze drone, e partono forte con una suite in crescendo incattivita da una batteria acuta. Il suono è potente e poco ricamato, arrivando pulito, nonostanze il violento e inesorabile crescendo del livello del suono, vibrato e ondulatorio. Sono un po’ l’antitesi del gruppo spalla, per come si pongono e per la musica che buttano dal palco, ma il risultato dell’ora scarsa di concerto degli Ornaments è eccellente. Nessuno si è presentato all’Ufficio Reclami.

Nonostante le raccomandazioni, mi sono presentato al concerto degli A Place to Bury Strangers senza tappi per le orecchie, senza elmetto e senza rinforzi per gomiti e ginocchia. Il circolo Mattatoio è piccolo, la gente mormora e quelli nelle prime file sono già in fermento, figuriamoci quando la band esce per un soundcheck in tempo reale, non propriamente sereno nei modi e nei contenuti. Per chi si trovava oltre la quinta fila, quello è stato l’unico frangente in cui Oliver Ackermann, cantante, chitarrista, leader degli A Place To Bury Strangers, produttore di pedali e pazzo scatenato, si è reso visibile.

Poi scende il buio, sale il fumo, si accendono i fasci di luce sparati dal basso verso l’alto, e quando gli A Place to Bury Strangers tirano su la levetta degli amplificatori e delle pedaliere immagino che nelle abitazioni di tutta Carpi si sia verificato un calo di tensione.
I lived my life to stand in the shadow of your heart‘ prevede una voce bassa, poco più che sussurrata, facendo sì che l’intera cubatura del Mattatoio venga riempita, quasi pressurizzata, dal suono delle tre ombre newyorkesi che si scorgono là sopra da qualche parte.
Merita un plauso l’impianto del locale, perché il noise e i volumi degli A Place To Bury Strangers avrebbero potuto metterlo in difficoltà e invece ha tenuto botta. Stesso discorso vale per le ampie vetrate sul fianco del locale, anche se il collasso di un vetro sarebbe stato parecchio scenografico e funzionale allo show.

Accelerate e frenate caratterizzano la prima parte del concerto degli A Place To Bury Strangers, atmosfere solenni e molto goth che lasciano spazio a un incedere frenetico di batteria o a giri di rock’n’roll in salsa riverberata. In un tripudio di luci rosse, il suono di ‘You are the one‘ appare quasi nitido mentre la successiva ‘Deadbeat‘ è dominata da un basso sintetico. Risultano quasi “orecchiabili” e hanno una grande resa e una grande presa sul pubblico i pezzi dell’ultimo album “Transfixiation”, l’ipnosi di ‘Deeper‘ che sale in un lento delirio e lo sballottamento integrale di ‘We’ve come so far‘ dal refrain completamente stravolto.

Siccome fino a questo momento Oliver Ackermann è stato abbastanza educato e composto, per il finale gli si può concedere di fare un po’ di casino alla sua maniera, altrimenti non torna a casa contento. Confesso che a venti metri di distanza non ho capito bene cosa sia successo, ma dai racconti leggendari della tradizione orale post-concerto pare che sia sceso dal palco per un po’ di bordello elettrico in mezzo alle prime file, una sorta di improvvisazione temporalesca, per poi chiudere senza soluzione di continuità con ‘Ego death‘. Com’è come non è, quei simpatici birbanti noise degli A Place To Bury Strangers sul finale del concerto non hanno resistito alla tentazione e hanno sfasciato qualche strumento, di questo ne ho le prove, il pellegrinaggio verso il palco a fine concerto per osservare le reliquie è d’obbligo. Quando si sono riaccese le luci, il primo pensiero è stato: non so bene cosa sia successo, ma è stato tremendamente figo.

Li definiscono da sempre la band più rumorosa di New York, e gli A Place To Bury Strangers ci tengono a mantenere questo status. Più wall of sound che feedback, più potenza del suono e meno sporcizia, questa è la loro maniera di fare macello, un macello che ti lascia stordito ma senza fischi nelle orecchie.

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Matteo Ferrari

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Nato nel 1984 nell'allora Regno Lombardo-Veneto. Un onesto intelletto prestato all'industria metalmeccanica, mentre la presunta ispirazione trova sfogo nelle canzonette d'Albione, nelle distorsioni, nei bassi ingombranti e nel running incostante.

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