65daysofstatic live a Mestre (VE): suggestioni sonore

La serata del 5 novembre è un viaggio di cui non ci è dato di conoscere inizio e fine, un’esplorazione emotiva accompagnata da un deciso battere di pioggia: un momento di estrema intimità all’interno di una cornice post-apocalittica di tutto rispetto.

I 65daysofstatic tornano in Italia, e dopo le date di Roma e Bologna nelle quali registrano larghi consensi, li troviamo in un club sottovalutatissimo e sempre all’avanguardia per quanto riguarda la proposta musicale.
Siamo allo Spazio Aereo di Mestre (VE), piccolo gioiellino incastonato tra la tangenziale che porta alla laguna e il celebre complesso industriale di Porto Marghera.  
Sembra che la location sia stata scelta appositamente per ospitare la lineup di stasera, e la pioggia incessante che cola sulle travi d’acciaio regala un’atmosfera ricca di suggestioni.

Nonostante le condizioni meteo apparentemente avverse il live inizia alle 21.45 spaccate con la performance di Bologna Violenta, all’anagrafe Nicola Manzan e Alessandro Vagnoni.
Manzan è un pioniere della scena alternative italiana (l’abbiamo visto già lavorare con Il Teatro degli Orrori, Fast Animals and Slow Kids e a capo dell’etichetta Dischi Bervisti) nella quale riesce a distinguersi per il suo atteggiamento irriverente e provocatorio.
Bologna Violenta porta sul palco il suo ultimo lavoro, “Discordia”, una serie di sedici frammenti tenuti insieme dalla vigorosa batteria di Vagnoni alla quale si incastrano gli inconfondibili violini di Manzan. È molto difficile trovare una definizione per il duo: le sonorità  tipiche del grind si accavallano a momenti di puro eclettismo nei quali si intravede anche una piccola luce melodica.
Il live è un tunnel, scuro e profondo, da cui non è data nessuna possibilità di fuga.
Un rito funebre, macabro, un’ode disincantata al fallimento di qualsiasi possibilità di redenzione.

L’inquietudine e il silenzio con cui si interrompe il live dei Bologna Violenta è rotto subito dai Germanotta Youth, formazione delirante che riesce a sparare addosso al pubblico sia grind che sintetizzatori acidi e crudi con qualche momento che sembra quasi “dub”.
Il pubblico incassa il colpo, la sala comincia a riempirsi e ci si prepara l’open act ufficiale della serata: i Thought Forms che spezzano bruscamente la crudità dei live precedenti e sembrano voler ristabilire una sorta di ordine sul palco.
La formazione di Bristol porta in scena alcuni pezzi del suo ultimo album “Songs about Drowing”, e l’impressione è, appunto, quella di un dolce affogare: il precipitare dello shoegaze è sostenuto dalla voce quasi idilliaca della cantante.

A mezzanotte spaccata il palco è finalmente pronto.
Il live dei 65daysofstatic mostra subito come un processo immaginifico di esplorazione personale a cui ognuno è invitato a dare la propria interpretazione. Il suono è monumentale, subito assimilabile a quello di altre formazioni post-rock come i texani Explosion In The Sky o God Is An Astronaut ma, a loro differenza, avverto un maggior desiderio di sperimentazione.
La monumentalità della cattedrale costruita secondo le regole e i tecnicismi del post-rock sembra spezzarsi in un lento divenire sonoro in cui l’ascoltatore è invitato a tuffarsi per poi lasciarsi penetrare su ‘Unmake the Wild Lights.
Le porte della percezione sono aperte e ciascuno è libero di entrare.
L’ultimo pezzo, ‘Safe Passage‘, cerca di dilatare spazio e tempo per far durare questo momento di catarsi emotiva il più possibile, centrando in pieno l’obiettivo.

Il viaggio termina così, all’improvviso, senza ulteriori indugi o spiegazioni: sembra che i ragazzi non vogliano dare nessuna spiegazione riguardo la destinazione o le modalità di atterraggio.
Il pubblico si trova destabilizzato, quasi come un bambino alla fine dello svezzamento: le luci si riaccendono, anche se eravamo in molti a sperare che quell’oscurità durasse ancora per un po’.

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