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Nova Rock | Day 02 | Linkin Park

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di Endy Prandini
13 Giugno 2025
Linkin Park

Nova Rock Festival 2025, il giorno extra che ha lasciato il segno

Kittie, Jinjer, In Flames, e il ritorno (imperfetto) dei Linkin Park: un pre-show che vale quanto un main event

AUSTRIA | Nickelsdorf, 13 Giugno 2025

Prima ancora che il festival iniziasse ufficialmente, il Nova Rock 2025 ha messo sul piatto un pre-show carico di attese, emozioni e riff devastanti. Una giornata extra – in realtà una vera e propria apertura col botto – in cui si sono alternati nomi storici, nuove leve e un ritorno molto atteso: quello dei Linkin Park, con una nuova voce e un carico emotivo difficile da contenere. Ho seguito ogni set, palco per palco. Vediamo se a fine lettura sarai d’accordo con me.

 

Kittie

Aprono il Red Stage con potenza le Kittie, band canadese che non si risparmia. Il pubblico è già caldo e pronto al circle pit.
Presentano il nuovo brano Eyes Wide Open, che convince anche i più scettici. Il suono è pulito, potente e ben equalizzato.
Dimenticato il problema tecnico del Blue Stage del giorno prima. Le ragazze conquistano, graffiano, colpiscono.

Kittie
Kittie

Polaris

I Polaris salgono subito dopo. Il loro metalcore è come un risveglio post-sbronza a suon di adrenalina e riff micidiali.
Il pubblico li ama. Headbanging selvaggio sotto il sole cocente. Gli australiani danno tutto. La security lavora duro per contenere l’onda continua di crowd surfing.

Polaris
Polaris

Lølø

Sul Blue Stage si esibisce Lølø, giovane artista austriaca. Pop leggero, stile Lollipop anni 2000. Piace a chi cerca un momento di respiro tra una bordata e l’altra.

Lølø
Lølø

Jinjer

I Jinjer sono ormai di casa al Nova Rock: 2017, 2022, e ora di nuovo a incendiare la Pannonia. Tatiana è un portento vocale. Cambia registro come una fuoriclasse, passando dal growl a melodie limpide. I pezzi storici come Pisces e le novità reggae-style spiazzano e conquistano. Lei è ancora la regina indiscussa del metalcore vocale. Look camaleontico, presenza magnetica. I Jinjer saranno a Milano il 22: imperdibili.

Jinjer
Jinjer

Poppy

Poppy delude. Non per lei, ma per un contesto che non le si addice. Performance scollegata e poco autentica, voce troppo trattata, energia artificiale. Nonostante ciò, ha il suo palco e il suo pubblico. Ma l’effetto è freddo.

Poppy
Poppy

Awolnation

Gli Awolnation sembrano un prodotto virale fuori contesto. Un’ora d’attesa solo per Sail, mentre il resto passa senza lasciare traccia. Non aiutati da un palco troppo grande, sembrano persi. Da rivedere in spazi più intimi.

Iggy Pop

E poi arriva lui, Iggy Pop. Torace nudo, energia ancestrale, zero compromessi. Parte Raw Power, segue The Passenger, poi Lust for Life. Un’ora di lezione su come si suona il rock’n’roll. Scende dalla passerella, si fa spazio tra la folla: grida «I Wanna Be Your Dog» e siamo tutti suoi.

Quasi 80 anni e una carica che spazza via generazioni intere. Libero, selvatico, autentico: come dovremmo ricordarci di essere.

Iggy Pop
Iggy Pop

Motionless in White

Riprendo i Motionless in White a metà, ma bastano pochi minuti per capire: dominano.

Il loro metalcore è la voce di una generazione: ogni pezzo è cantato da un pubblico vastissimo e variegato. Carismatici e intensi, cavalcano l’onda del successo alla perfezione.

Motionless in White
Motionless in White

In Flames

Gli In Flames aprono con Pinball Map e sfondano il Red Stage con forza e maestria. La band è in stato di grazia e ci regala una setlist potentissima: Only for the Weak, Trigger, Meet Your Maker. La chiusura è devastante con My Sweet Shadow.

Gli svedesi danno tutto. E sì, è presto per dirlo ma ne sono sicuro: anche se sono passati solo due giorni, questa sarà sicuramente una delle migliori performance del Nova Rock 2025.

In Flames
In Flames

Linkin Park

Il Blue Stage si trasforma in un oceano di teste, voci, occhi puntati. È il momento più atteso della giornata extra del Nova Rock: il ritorno dei Linkin Park, otto anni dopo l’ultima apparizione live con Chester Bennington, avvenuta appena un mese prima della sua tragica scomparsa. L’attesa è densa di emozione, nostalgia, tensione. È difficile distinguere dove finisca la curiosità e dove inizi la speranza: il pubblico vuole credere che qualcosa della magia sia rimasto intatto. Che si possa ricominciare.

L’ingresso in scena è spettacolare. Un countdown serrato, una intro cinematografica, immagini in bianco e nero, e poi l’esplosione di Somewhere I Belong. La nuova voce dei Linkin Park è Emily, giovane, decisa, con una responsabilità enorme sulle spalle: non sostituire Chester, ma dare un nuovo volto a una band che ha significato molto per milioni di persone. E infatti non lo imita, non forza, non scimmiotta. Canta con il suo tono, con la sua interpretazione. Ci mette cuore. E questo si vede.

Peccato che l’emozione venga smorzata da problemi tecnici evidenti fin dai primi minuti: i volumi sono inspiegabilmente bassi, le voci dominano troppo sul mix, e l’equilibrio sonoro si spezza. Gli strumenti sembrano affondare sul fondo di un mix impastato, mentre la voce – anche quando cede al pubblico – fatica a collocarsi. L’impressione è che il fonico abbia mancato le tarature base per un set di questo peso. Un errore che, su un palco come quello del Nova Rock, non dovrebbe accadere.

Linkin Park
Linkin Park

Eppure, nonostante le difficoltà, la band non si ferma. In scaletta trovano spazio sei brani inediti tratti dal nuovo album, alternati ai grandi classici, in un equilibrio che vuole guardare avanti senza dimenticare il passato. Lying From You arriva precisa, dritta al petto, e quando parte Crawling, il pubblico esplode: urla, pianti, cori all’unisono. È il momento più emotivo dell’intero show.

Ma l’incantesimo si rompe di nuovo: mentre suona New Divide, dal Red Stage si sente distintamente la voce di Dani Filth (Cradle of Filth), in piena esibizione. Un errore di gestione tecnica imperdonabile per un festival di queste dimensioni. Non è colpa dell’impianto, che regge perfettamente: è il mix, l’isolamento dei palchi, il timing. Un vero disastro organizzativo.

Emily, dal canto suo, tiene il palco con professionalità, ma appare a tratti sopraffatta. Forse dalla pressione, forse dal peso simbolico del ruolo. In più di un’occasione lascia intere strofe al pubblico, e se da un lato il coinvolgimento è altissimo, dall’altro il ritmo generale dello show ne risente. Serve tempo, serve consapevolezza. Non si può pretendere che il dolore si trasformi subito in perfezione.

Ma una cosa è certa: la fiamma dei Linkin Park arde ancora. Nonostante tutto. Nonostante i suoni sbagliati, le emozioni troppo grandi, le inevitabili fragilità. È una fiamma alimentata da amore, memoria, speranza. Forse non è più un incendio potente come un tempo, ma è un fuoco che scalda, che resta, che unisce. E questo, almeno per ora, basta.