
Saxon, i vecchi leoni continuano a ruggire
Biff e compagni celebrano ‘Wheels Of Steel’ davanti ad un Live Music Club strapieno
Echi dal passato con Grand Slam e Girlschool, i graditi ospiti dei Saxon per questo tour
Trezzo Sull’Adda, 27 febbraio 2025
Sventola alto questa sera l’Union Jack sul Live Music Club di Trezzo, per l’occasione preso letteralmente d’assalto dal pubblico italiano che saluta così, con un prevedibile sold-out, l’arrivo di tre formazioni storiche della scena hard rock/metal britannica. Oltre agli attesissimi SAXON, il cartellone della serata prevede due special guest d‘eccezione, le veterane GIRLSCHOOL ed i redivivi GRAND SLAM.
La letale combinazione di lavoro/traffico/orario di inizio mi ha solo concesso di vedere questi ultimi abbandonare il palco dopo una breve esibizione, dominata dalla presenza spirituale di Phil Lynott. Già, perché fu proprio Lynott a fondarli nel 1984, subito dopo aver sciolto i suoi THIN LIZZY, poco prima di abbandonare questa terra, consumato dall’alcool e dall’eroina. In quella formazione, che non sopravvisse al proprio fondatore, militavamo il tastierista fuoriclasse Mark Stanway dei Magnum ed il virtuoso chitarrista Laurence Archer, già noto per la sua militanza negli Stampede e, per un breve periodo, negli UFO. Fu Archer qualche anno fa a rispolverarli, riportando in scena i Grand Slam con un paio di album ed una buona attività live.

La curiosità di vederli all’opera era parecchia, peccato aver perso questa occasione più unica che rara. Mi consolerò con le Girlschool, che credo di aver visto l’ultima volta una trentina di anni fa. Sono la prima all-female band in campo metal, nata a fine anni ’70 quando l’Inghilterra veniva sconquassata da quella che viene comunemente definita la new wave of british heavy metal?
Qualcuno obietterà che le Runaways sono arrivate poco prima. Ma, mentre Joan Jett, Lita Ford e compagne si muovevano, teleguidate da quell’infido volpone che era Kim Fowley, tra glam, pop e hard rock, le Girlschool iniziavano a far parlare di loro per il loro approccio tipicamente metal. Il loro sound le portò ad essere riconosciute come la versione femminile dei Motorhead. D’altronde, come aspettarsi diversamente quando il tuo mentore si chiama Lemmy Kilmister?
All’epoca erano praticamente onnipresenti sulle pagine di Kerrang!. Kelly Johnson era il sogno proibito di tanti giovani metallari in erba, e l’EP che conteneva ‘Please Don’t Touch’, registrato con i Motorhead, era uno dei dischi più ambiti e ricercati. Nel 2025 di quella formazione seminale sono rimaste solo Kim McAuliffe (voce, chitarra) e la batterista Denise Dufort, che in questo tour per problemi di salute è sostituita da Larry Paterson. A completare l’attuale line-up, troviamo Jackie Chambers (chitarra solista) e la bassista Olivia Airey, il cui cognome tradisce una stretta parentela con il tastierista dei Depp Purple (si, è sua nipote).

Dirette ed essenziali sia nell’attitudine che nell’abbigliamento di scena (pantaloni di pelle, una t-shirt e via), nei tre quarti d’ora a disposizione ci hanno fatto rivivere gli anni a cavallo tra il 1980 ed il 1982, quando rilasciarono i tre album che le hanno consegnate alla storia del genere. È quasi commovente vederle aprire con quella ‘Demolition Boys’ che le fa davvero sembrare la controparte femminile dei Motorhead. Proseguono con una ‘C’mon Let’s Go’ dove il metallo si sporca di punk. ‘Hit And Run’, ‘Kick It Down’, ‘Race With The Devil’ sono brani semplice e diretti ma assolutamente coinvolgenti, pur penalizzati da suoni non perfettamente bilanciati.
C’è anche la mia preferita, quella ‘Screaming Blue Murder’ title-track del terzo album. In esso i suoni tendevano a raffinarsi verso lidi class-metal, a sottolineare una buona maturazione anche dal punto di vista compositivo. Prima del rush finale con ‘Emergency’ ecco il doveroso tributo a coloro che le hanno tenute a battesimo: ‘Bomber’ è la cover che fa saltare il banco e si trascina dietro tutto il pubblico, già numerosissimo. Credo che da lassù il buon Lemmy si sia goduto lo spettacolo, scolandosi l’ennesima bottiglia di Jack Daniels. Le sue protette intanto si dannavano l’anima per dimostrare, ancora una volta, quanto la vecchia guardia sia dura a morire.
Ora non resta che goderci l’ennesimo concerto dei SAXON, che arrivano al Live Music Club reggendo il peso di una carriera quasi cinquantennale. Biff Byford, 74 anni appena compiuti, è l’ultimo superstite della formazione originale. Una formazione che ha visto innumerevoli cambi di personale, compreso quello che ha visto protagonista l’altro membro fondatore, Paul Quinn. Per sostituirlo è stato chiamato un certo Brian Tatler, chitarrista e co-fondatore dei Diamond Head, con i quali ha scritto pagine e pagine di storia della new wave of british heavy metal. Un sessantaquattrenne d’assalto che con i suoi riff ha influenzato diverse generazioni di gruppi metal, Metallica in primis. Ricorderete la loro cover di ‘Am I Evil’ , ma anche la recente ‘Lux Aeterna’ potrebbe passare per un più o meno involontario tributo ai Diamond Head.
Non è da meno il batterista Nigel Glockler – 72 anni e non sentirli, buona parte dei quali passati alla corte di Biff. NOn sono virgulti neanche gli altri membri della band. L’altro chitarrista, Doug Scarratt, è coetaneo di Tatler, mentre Il bassista Nibbs Carter con i suoi 58 anni fa la parte del giovanotto del gruppo. C’è chi a quell’età sogna solamente di godersi gli anni della pensione, e c’è chi invece continua a girare il mondo, riempiendo i locali e prendendo a calci là dove non batte il sole migliaia di fan adoranti. E questa sera questa band di diversamente giovani non è stata da meno.
L’hype per il concerto odierno era già alto, grazie alla promessa di suonare per intero ‘Wheels Of Steel’ (il loro secondo album, a.d. 1980) insieme ai brani del recente ‘Hell, Fire And Damnation’ ed alla consueta manciata di hit. Stretto stretto nel mio angolino alla destra del palco mi godo il nastro introduttivo e l’ingresso in scena dei Saxon. Partono all’arrembaggio proprio con la title-track dell’ultimo disco, che caratterizzerà la prima parte dello show. A seguire verranno proposte anche ‘Madame Guillotine’, ‘There’s Something In Roswell’ e ‘1066’, che spuntano in mezzo a hit vecchie e nuove. Tra queste anche quella ‘Backs To The Wall’ dal primo mitico album, e classici come ‘And The Bands Played On’ e, soprattutto, ‘Dallas 1 P.M.’

La presenza sul palco di Biff è magnetica. Ci chiediamo dove, a 74 anni, riesca a trovare ancora le energie per reggere quasi due ore di show senza perdere un colpo, mantenendo costantemente le redini di un pubblico letteralmente adorante. Ha lunghi capelli bianchi e una divisa che lo fanno tanto somigliare ad un anziano generale dell’esercito di Wellington a Waterloo. Biff è una delle ultime icone metal, di quelle che il genere non solo lo hanno creato, ma anche plasmato. D’altronde i Saxon, insieme agli Iron Maiden ed ai Judas Priest, costituiscono la punta di diamante dell’heavy metal britannico.
La seconda parte dello show, come si diceva, è interamente dedicata a “Wheels Of Steel”, album epocale che questa sera abbiamo avuto il privilegio di ascoltare per intero. Puro ed incontaminato metallo albionico, con gemme senza tempo come ‘747 (Strangers In The Night)’, ‘Motorcycle Man’ e i famosi fischi Biff-iani, la micidiale title-track che istiga i contro-cori del pubblico. Scarratt e Tatler si dividono gli assoli, macinando riff su riff sostenuti da quella macchina da guerra che sta dietro ai tamburi. Arriviamo fino a ‘Machine Gun’, l’ultimo pezzo del disco, col fiato corto e le energie quasi azzerate.
Il set principale si chiude qui, ma la festa è tutt’altro che finita. Nel giro di pochi minuti la band torna sul palco per sferrare l’assalto finale. Lo fa con un poker da urlo: dall’anthem crociato di ‘Crusader’ si passa a quello che è un vero proprio inno al genere, ‘Heavy Metal Thunder’, che fa il paio con ‘Denim And Leather’. Su questo pezzo Biff inscena il solito scambio canoro con il pubblico. La chiusura non poteva che essere lasciata a ‘Princess Of The Night’. Alla fine sono due ore di delirio metallico, senza un cedimento, senza un attimo di pausa. Il passaggio degli anni avrà anche lasciato evidenti tracce sui volti di tutti i componenti della band, ma di certo non sull’attitudine e sulla voglia di suonare. Per come li abbiamo visti questa sera, quello della pensione pare essere proprio l’ultimo dei loro pensieri.