
Sandro Joyeux: la voce dei figli del sud del mondo
Il sabato del Monk abbraccia l’Africa
World music, afrobeat, reggae protagonisti nel concerto del musicista franco-italiano
Roma, 25 gennaio 2025
La storia di Sandro Joyeux potrebbe da sola essere più di un capitolo nel romanzo delle vite umane.
Mamma francese, papà italiano, vagabondo per le strade di Parigi in tenera età. A dieci anni impara a memoria la mappa della metro. Contemporaneamente si innamora della musica, entra ancora bambino nel coro della Radio Nazionale Francese e si iscrive al conservatorio per studiare trombone. Un giorno si ritrova in mano la chitarra: cambia tutto, sia lui che la sua vita. A sedici anni lascia la scuola e si mette sulle tracce del padre, fino a quel momento mai conosciuto. Arriva a Firenze, sbarca il lunario facendo il manovale e il pony express. Viaggia in tutta Europa, con ogni mezzo: nascosto sui treni, in vespa o in autostop, facendo affidamento su una rete si amici camionisti.
Ma non gli basta l’Europa. Sandro Joyeux vuole l’Africa e incontra i suoni del sud del mondo: Mali, Burkina Faso, Senegal, Nigeria. Poliglotta, canta in arabo e in diversi dialetti africani: bambarà, kassonké, wolof e pidgin. Collabora con artisti come Baba Sissoko, Madya Diebate, Pape Kanoute, Awa Ly. In Italia lancia l’Antischiavi tour, viaggi e concerti nelle campagne d’Italia e nelle baraccopoli a sostegno delle lotte dei braccianti sfruttati: da Rosarno, a Castelvolturno, al Gran Ghetto di Rignano Garganico. Parimenti la sua attività live è assai intensa e tocca uno degli apici assoluti quando partecipa, come cantante e chitarrista, ai set di Tony Esposito nelle date del tour 2012 di Pino Daniele.

Stasera, al Monk, è una festa con invitati provenienti da diverse parti del mondo. Ci sono i volontari di Baobab Experience e di Refugees Welcome Italia con ragazze e ragazzi provenienti dall’Africa. Alla transenna del sottopalco una rappresentanza della comunità di Venosa, sede di altri insediamenti di lavoratori della terra, con i loro bambini. Sul palco i musicisti che lo accompagnano sul palco, amici prima che collaboratori; Antonio Ragosta alla chitarra elettrica, Emanuele Brignola al Basso, Tommaso Ruggero alla batteria, Ady Thioune alle percussioni.
Ma non solo loro. Sul palco si affacceranno Adriano Bono in veste di flautista e Shanti Colucci alla batteria. Infine, due vecchie conoscenze dell’Angelo Mai, ormai volti televisivi noti: Roberto Angelini e Fabio Rondanini. Ma il concerto di stasera si fa soprattutto con il pubblico, caldo, rumoroso, partecipativo fin dalle prime note. Fan di vecchia data e fan recentemente acquisiti; che lo si scopra oggi o che lo si conosca da tempo, la voglia di divertirsi e ballare è la stessa.
Quello di Sandro Joyeux è un gran concerto. Di quelli che potrei raccontare con un superlativo assoluto che mette d’accordo tutti: divertentissimo. Sandro Joyeux apre con la dolcezza di un tradizionale maliano. Da solo alla chitarra, chiama il primo, di tanti, botta e risposta con il pubblico. Si parte dall’Africa e si continua con l’Africa. Mali, Congo, Senegal, Burkina Faso: aumentano i beat e i ritmi si fanno più frenetici. Poliritmie africane, fraseggi chitarristici afro, che in alcuni momenti mi ricordano quasi sonorità di violino. e sonorità dal Golfo di Guinea, batteria e basso potenti e travolgenti, che con le percussioni senegalesi risvegliano l’irrefrenabile istinto naturale verso la danza. I corpi si animano e iniziano a muoversi, alcuni flessuosi altri un po’ meno, ma percorsi sempre dalla stessa gioiosa corrente elettrica.
«I nostri concerti hanno una musica allegra e piena di vita, ma parliamo spesso di cose tristi». Il debito coloniale, con particolare riferimento alla presenza depredante della Francia in Africa; l’inquinamento del pianeta; le guerre in Africa e le migrazioni che non saranno certamente fermate da un “no” del politico di turno. Parole come pietre, con i dialetti dell’africa occidentale si alternano a testi in francese con inserimenti dell’italiano.
Dopo circa tre quarti d’ora ci si sposta dall’altra parte dell’Atlantico. Adriano Bono suona prima un flauto traverso, poi improvvisa un toasting su un reggae che potrei benissimo ballare fino a domattina. È il turno poi di Roberto Angelini con la sua immancabile lap steel guitar. Il musicista romano aggiunge un tocco di psichedelia del deserto nel pezzo dedicato a Boubakar Traoré, artista maliano e maestro dello stesso Sandro Joyeux.
Che non tutti abbiano letto Daniel Pennac, o che non abbiano visitato la zona est di Parigi ne ho conferma quando deve spiegare dove sia e cosa sia il quartiere di Belleville. Uno dei singoli estratti da “Jumua” suo ultimo lavoro, prodotto da Adriano Viterbini e Fabio Rondanini. Il primo, idealmente presente, ha un “piccolo” impegno che lo ha portato lontano da qui; il secondo invece occupa il seggiolino della batteria durante l’esecuzione del pezzo.
«Qualcuno ha detto reggae?». È la domanda retorica di Adriano Bono, per una chiusura in pieno sound rastafari, con chitarre a molleggiarsi sui pedali wah wah. Reggae “all along the way”, prima di un indiavolato bis finale. Chicca finale è il medley delle Radici nel Cemento a opera dello storico frontman, forse con il volume del microfono leggermente troppo basso. Ma il pubblico impazza, mentre band e ospiti affollano festosamente il palco, sul quale salgono due ragazzi africani in preda al θυμός della danza
Qualcuno anni fa cantava che siamo tutti figli di Annibale: aveva ragione.