Oca Nera Rock

Concerti, news, musica, interviste, foto, live reports

Hellfest | Day 02 | Muse

Il potentissimo ingresso dei Muse all'Hellfest 2025

Tra gli headliner più attesi del festival con retroscena, delusioni e atmosfere da stadio

Avatar photo
di Eva Marabotti
21 Giugno 2025
Muse

FRANCIA | Clisson, 21 Giugno 2025

Il secondo giorno dell’Hellfest 2025 ha portato sul Mainstage 01 uno degli act più attesi dell’intera edizione: i Muse. Per la prima volta headliner del festival francese, la band britannica si è inserita in una lineup colossale che ha visto esibirsi più di 180 gruppi su sei palchi infuocati.

Tra caldo torrido e aspettative alle stelle, il venerdì è decollato con il carico di tensione tipico delle grandi occasioni, complice anche l’esordio live di brani inediti come Unravelling. Per molti, quello dei Muse era lo show che avrebbe dovuto unire mondi sonori differenti e sfumare il confine tra rock d’arena, suggestioni metal e teatralità sonora. Un passaggio fondamentale di un tour mondiale che anticipa l’uscita del decimo album in studio, e che sulla carta avrebbe dovuto consacrare ancora una volta la loro attitudine a dominare palchi monumentali. 

La calura è senza pari, il risveglio è stato lento e le energie sono poche: d’altronde, siamo all’inferno. Non si molla e si riparte.

Lion’s Law 

La mia giornata inizia con i parigini Lion’s Law, nel Warzon Stage. Li ho conosciuti per caso grazie ad una playlist su Spotify dedicata all’Hellfest e in live posso solo confermare quanto mi aspettavo: una band che non ha paura a sperimentare, mantenendo una sua forte identità e che porta avanti dei valori che gli fa meritare l’importanza che ha nella scena Oi! e street punk francese ed internazionale.

Lion's Law
Lion’s Law

Manegarn

È il turno dei tedeschi Manegarm, al Temple Stage. Uno di quei concerti a cui è sempre bello assistere anche se li si è visti un sacco di volte. Il loro viking metal alla vecchia maniera non stona mai, nonostante il suono all’interno del Temple e dell’Altar non sia il massimo dalla vita. Ma il parterre è pieno e i vichinghi sono carichi per farci pogare tutti brutalmente. Bene così.

Spiritbox

Seppure il metalcore non sia il mio genere ho voluto assistere al concerto dei canadesi Spiritbox, sul Mainstage 02, e la loro performance mi ha sospresa.

Nonostante la frontwoman non abbia una grande energia nell’interagire con il pubblico, riesce a compensare benissimo con il suo screammato arrogante. La resa generale del concerto devo dire che è ottima: un sound importante, condito da una batteria molto presente e da delle vocalità che riescono facilmente a mantenere attivo il pubblico. Non li ascolterei in studio ma in questa location la loro presenza mantiene alto il nome del festival.

Spiritbox
Spiritbox

The Cult

Finalmente una delle band che più aspettavo da questa giornata, una di quelle che mi ha accompagnata in tutti i miei viaggi on the road: i The Cult, al Mainstage 01.

Il loro sound è riconoscibile a miglia di distanzae infatti il parterre è già pieno dopo le prime due canzoni, fortunatamente avevo già trovato un posticino all’ombra sull’erba in cui potermeli godere da seduta. La giornata è ancora lunga e non è facile. Le canzoni iconiche le hanno messe dalla seconda metà della scaletta, come Rain e Fire Woman. I nostri amati ragazzi erano carichissimi, anche se visibilmente provati dal caldo, e noi tutti ci siamo goduti quel momento indescrivibile come in una lontana Woodstock.

The Cult
The Cult

Tankard

Per spezzare un po’ il momento, mi sono concessa una parte del concerto dei Tankard all’Altar Stage. Come ho già detto, i suoni all’interno del tendone non sono il massimo ma se ci si allontana un po’ si riescono ad apprezzare. Loro li avevo già visti al Tolminator 2024, in Slovenia, e da lì me ne sono un po’ innamorata. Un thrash metal come piace a noi nostalgici, temi leggeri, pubblico in delirio e fiumi di birra. What else?

The Hu

Sono anni che mi prometto di vederli ed ogni volta, un po’ come per i Dropkick Murphys, succede qualcosa che non mi permette di andare ad un loro concerto. Oggi non avevo scusanti.

Gli Hu con tutta la loro energia e il loro throat singing salgono sul Mainstage 01 e devastano la folla con la loro rabbia, made 100% in Mongolia, che ne rimane allibita. Di una potenza e di un impatto emotivo senza pari, gli Hu rimarranno a mani basse uno dei concerti che più avrò apprezzato da questa diciottesima edizione dell’Hellfest.

The HU
The HU

Trollfest

Lo stesso discorso che ho fatto per i Tankard vale anche per i norvegesi Trollfest, al Temple Stage. Un gruppo che ho iniziato ad apprezzare da relativamente poco, sicuramente dopo il loro allontanamento (musicalmente parlando) dalla scena black/grind. In ogni caso, sul palco si sono proposti vestiti da fenicotteri, in tema con il loro ultimo album pubblicato, “Flamingo Overlord”, e questa cosa ha mandato tutti in un piacevole delirio.

Qua all’Hellfest ho imparato che non importa quale scena tu segua, ci sarà sempre qualcuno che al concerto più extreme metal verrà vestito da fenicottero.

Muse

Ed eccoci finalmente al momento che, sulla carta, doveva essere il culmine della seconda giornata dell’Hellfest: sul Mainstage 01 arrivano i Muse, headliner assoluti di questa edizione 2025. L’attesa era palpabile fin dal primo pomeriggio, con fan accampati sotto il sole cocente per accaparrarsi un posto in prima fila e l’hype generale che cresceva di ora in ora, alimentato anche dalla promessa di una setlist che avrebbe attraversato tutta la loro discografia. E invece.

Qualcosa si è incrinato non appena le luci si sono abbassate e l’intro è partito. E non è colpa dei Muse in quanto band – che continuano a essere musicisti tecnicamente ineccepibili – ma dell’esperienza complessiva, del feeling assente, di un impianto audio indegno per un festival di questa portata. I volumi del Mainstage 01 durante il set dei Muse all’Hellfest sembravano usciti da un impianto casalingo tarato male, al punto che a oltre 200 metri dal palco si riusciva a chiacchierare tranquillamente. Sotto palco, peggio: la voce di Matt Bellamy quasi inesistente, coperta da una sezione ritmica timidissima e da un basso che non scuoteva nemmeno le birre calde dei chioschi.

La sensazione generale è stata quella di uno spettacolo costruito al millimetro, certo, ma senza anima. Come se i Muse, pur portando in scena tutta la loro estetica futuristica, luci, effetti visivi e scenografie da stadio, si fossero dimenticati che il pubblico dell’Hellfest vuole il cuore, il sudore, l’urlo. E invece è sembrato di assistere a una lunghissima playlist live, priva di mordente, senza alcuna interazione reale con chi stava sotto il palco a cuocere da ore.

Bellamy e soci hanno suonato in modo impeccabile, sì, ma senza trasmettere quella scossa che ci si aspetta da un headliner in un contesto del genere.

Ho provato a cambiare posizione più volte, nella speranza che fosse un problema di zona acustica. Spoiler: non era. Ovunque ci si mettesse, il risultato era lo stesso. E alla fine è subentrata la noia, che è forse la cosa peggiore che possa succedere quando davanti hai una delle band più importanti degli ultimi trent’anni. È paradossale: i Muse all’Hellfest 2025 erano uno dei nomi più attesi, eppure sembrava che suonassero per inerzia, come se anche loro stessero contando le canzoni che mancavano alla fine.

Un’occasione mancata, e non solo per i fan di lunga data. In un festival dove ogni esibizione sembra pensata per lasciare il segno, i Muse hanno invece lasciato una sensazione di distacco, come se fossero fuori contesto. E se è vero che la perfezione tecnica è importante, è altrettanto vero che in un live serve anche un po’ di caos, quella scintilla che fa dire «Sì, ne è valsa la pena». Stavolta, purtroppo, non è successo.

Muse
Muse

Sex Pistols & Frank Carter 

Chiudiamo in bellezza questa giornata con il concerto dei Sex Pistols con alla voce Frank Carter, nel Warzone Stage. Non credevo che avrei mai potuto sentire dal vivo quei brani che hanno portato in alto il nome del punk rock, eppure è successo e in una maniera straordinaria, nonostante io sia nata troppo tardi per poter godere della formazione originale.

Che figata vedere Jones, Cook e Matlock darci dentro come dei ventenni!

Riguardo Frank Carter, lo reputo un frontman nato che si ricorda da dove viene, chi è e chi sarà sempre: uno di noi. Salta come una molla sul palco e porta tutto il pubblico a seguire i suoi movimenti. Scende dal palco, con l’asta ed il microfono, ed entra nel parterre, obbligando tutti i presenti a fare un gigantesco circle pit intorno a lui mentre lo show prosegue senza interruzioni. Nonostante la mancanza di Rotten sul palco, reputo la scelta di Carter come turnista un’ottima alternativa, avendo una vocalità estremamente adatta a quella porzione indelebile di Storia.

A domani per la terza giornata all’inferno.