Synaptik – Justify & Reason


Qualcuno ricorderà certamente il periodo in cui alcune varianti del metal – come il djent o il progressive – esplosero dando vita a band constraddistinte dalla ricerca di virtuosismi e complessità nella forma canzone.
Spinti però dallo spirito di sperimentare e rinnovarsi, spesso capitava di imbattersi nelle stesse strutture da contorno a soluzioni musicali fini a sé stesse: break down, arrangiamenti, intensità, ritorno degli assoli, passaggio da voci sporche a pulite in occasione dei ritornelli.
Un insieme di costanti che a lungo andare cominciavano ad essere ingombranti.

A farci ricredere ci provano i Synaptik, formazione prog – melodic metal di Norwich che ha fatto suo quel periodo e che prova ancora una volta a conservare la lunga scia di positiva sia dalla critica che del pubblico, dalla ricerca di soluzioni stilistiche alla necessità di rimaner in linea con le tipiche sonorità che fanno da base alla voce melodica.

Pensate all’heavy metal dei Queensrÿche unito a idee prog metal con evidenti sonorità cupe e pesanti.
Largo spazio è dato alle parti strumentali, e l’energia del quintetto emerge solo allo scadere dei primi dieci minuti con ‘Human Inhuman‘.
I Synaptik cominciano a convincere dal momento in cui la difficoltà della forma non compromette l’ascolto, concedendo frammenti interessanti come il suo intro ad incastro, batteria, riff delle chitarre e del basso – esattamente quel che mancava nei primi due brani, ‘The Incredible Machine‘ e ‘White Circles‘, e che continua venir meno in alcuni momenti forse bui di una tracklist che trova fortunatamente massima efficacia allo scadere dei quaranta minuti.
Durante l’ascolto si incontra anche il sound di brani come ‘I am the ghost‘, dove piano e voce lasciano spazio alla linea guida del basso.

L’idea di sperimentare servendosi anche di piccoli espedienti come nel caso degli arrangiamenti di chitarra, colloca la band in quel sottobosco progressive in cui si nascondono idee niente male, soffocate però dal tecnicismo che a discapito dell’espressione fa della sua inaccessibilità il punto debole.

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