Queens of the Stone Age – Villains

Quando ho saputo che la produzione del nuovo lavoro dei Queens of the Stone Age era stata affidata a Mark Ronson, ho avuto un fremito – e no, non di piacere.
Come una brutta immagine che ogni tanto riaffiora alla memoria, mi sono tornate alla mente le dichiarazioni di Vasco di qualche anno fa in merito alla sua svolta metal, e così mi sono chiesta se Josh Homme non avesse per caso optato anch’egli per una svolta, quella pop.
Ronson è uno dei più lungimiranti produttori britannici, questo gli va riconosciuto, ma poco (se non nulla) ha a che fare con le sonorità stoner e alternative alle quali ci hanno abituato i QOTSA nel corso degli anni.
Per certi versi  Ronson è una certezza: in qualità di produttore è anche grazie a lui che possiamo godere di album quali “Back to Black” di Amy Winehouse o “25” di Adele.
Pensando dunque anche all’ondata di successo internazionale con ‘Uptown Funk‘, la hit-tormentone featuring Bruno Mars, quale sarebbe potuto essere il risultato di un lavoro di squadra con Josh & Co.?
Nulla più, nulla meno, che “Villains”, un disco che in tutta franchezza “vorrebbe essere ma che non è”.

Il nome dell’album prende spunto dall’ultima traccia in esso contenuta, ‘Villains of Circumstance‘, un brano scritto e proposto live già nel 2014, durante il tour di “…Like Clockwork” (2013).
Ma andando nel dettaglio, mettendo da parte le curiosità e puntando al sodo, come suona questo album?
Le chitarre sono ben valorizzate, e nonostante questa sicurezza la sensazione resta quella che si voglia restituire all’ascoltatore un suono pesante ma ripulito.
Il sound è incalzante e preciso, forse un po’ troppo; si riconosce il marchio di fabbrica dei QOTSA nei riff prepotentemente rock ma ciò che è evidente è la presenza fuorviante di elementi elettro e pop.
Il risultato è una bella miscela commerciale, che sicuramente piacerà ai più visto l’andamento del mercato ma che, sono sicura, lascerà un po’ perplessi i fan di lungo corso della band statunitense.

Con questo “Villains” si cade a pié pari nell’eterno discorso che band di lungo corso prima o poi si trovano ad affrontare: è meglio proseguire il proprio percorso restando coerenti verso le proprie origini o è forse giusto adattarsi ai tempi (ed il mercato) che cambiano?
Se da un lato una vena di stampo romantico mi impone di affermare che le band dovrebbero esprimere sempre e solo sé stesse, senza interferenze o influenze da parte del pubblico, è anche vero che dopo vent’anni a volte è necessario proprio per le leggi di mercato reinventarsi e abbracciare nuovi corsi (non la reputo un caso, infatti, la presenza di Ronson come produttore).

Villains” potrebbe dunque essere esattamente questo: il disco di passaggio tra il periodo più alternative e quello più commerciale dei Queens Of The Stone Age.
L’album spartiacque nella discografia della band.
Quello che tutti ricorderanno come “l’ultimo disco bello” o “il primo disco brutto”.
La cosa può piacere come no, e forse si tratta solo di congetture premature: l’unica certezza è che la risposta a questa confusione ce la darà solo il loro prossimo disco.

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