Pontiak – Dialectic Of Ignorance


Tra le accidentate e nebbiose salite delle Blue Ridge Mountains, in Virginia, i fratelli Carney stavolta hanno fatto trascorrere tre anni per pubblicare il nuovo album a nome Pontiak.
Un’inconsueta lunga pausa, se pensiamo al loro usuale modo di lavorare.
Ma non sono stati certo con le mani in mano: hanno infatti creato un birrificio artigianale nella loro fattoria, riuscendo a rivalutare il loro processo creativo proprio attraverso la produzione della birra. Le lezioni apprese da questa sperimentazione hanno avuto un effetto estremamente creativo sia sulle idee di base che sul suono più lisergico e meno arrembante che possiamo ascoltare su “Dialectic of Ignorance”.

«C’è una connessione precisa tra la produzione di birra e la musica», spiega Van Carney, il chitarrista e cantante dei Pontiak. «Entrambi sono processi creativi che sono pieni di possibilità istantanee. In studio si affrontano problemi logistici, tecnici e creativi che sono in continua evoluzione; sta a te in quanto autore decidere quale strada si vuole prendere. Produrre birra non è molto diverso».

Proprio l’inaugurazione del birrificio ha allungato i tempi di produzione dell’album rispetto ai soliti cui eravamo abituati, ma è stata una buona cosa, perché ha dato al trio il modo di riflettere, considerare meglio le cose e scartare le idee che non andavano quando era necessario farlo. I barbuti fratelli arrivavano al lavoro la mattina presto per spillare birra, mettendo su quello che era stato registrato il giorno prima nel loro Studio A, ascoltandolo con calma e scambiandosi idee durante la lavorazione.
«È stato un flusso scorrevole e meditativo», ha aggiunto Van, e c’è da credergli dopo aver ascoltato il nuovo album che, a scanso di equivoci, ha decisamente un altro passo rispetto all’album precedente.

La lunga cavalcata ‘Easy Does It’ messa in apertura si riallaccia infatti alle atmosfere psichedeliche dell’Ep “Comecrudos” con il suo riff circolare, la batteria in levare,  e l’organo che fa decollare il tutto. Il tappeto di tastiere ed il rullante ovattato che batte nelle tempie del primo singolo ‘Ignorance Make Me High‘ hanno un andamento ottundente e colpisce per le dinamiche fuzz che lasciano il brano in perenne sospensione.
Tomorrow Is Forgetting‘ è un classico mid-tempo della band, il cui potente andamento circolare viene evidenziato dall’uso dei synth in un crescendo esponenziale di enorme tensione e insistenza ritmica che culmina in un lungo assolo.

Non lasciatevi ingannare dall’introduzione quasi marziale, perché ‘Hidden Prettiness‘ si trasforma velocemente in materia cosmica, con la ritmica a mantenere un’ossatura robusta lasciando planare chitarra e voce in un finale quasi Floydiano. E se avete voglia di un pezzo di classica tradizione rock alla Neil Young più elettrico, ascoltate ‘Youth And Age‘ o ‘Dirtbags‘, con la prima a scorrazzare libera nelle praterie, e la seconda a preferire un impianto più southern rock. I riffoni potenti e Sabbathiani ci introducono alla conoscenza di ‘Herb Is My Next Door Neighbor‘, un vicino di casa dalla conformazione stoner, mentre la furia più iconoclasta prende forma nel gran finale imbizzarrito di ‘We’ve Fucked This Up‘, l’episodio che spinge più di tutti sull’acceleratore, un martello che colpisce senza sosta fino a metà brano per poi immergersi nell’ennesimo liberatorio bagno lisergico.

Pur avendo trovato buono il precedente “Innocence”, il sapore agrodolce che aveva lasciato in bocca mi aveva fatto temere per la sorte futura dei Pontiak. Paura che si è dissolta appena messa la puntina sui solchi di un album che, al contrario, segna un deciso cambio di passo in avanti. L’approccio è quello che li ha resi riconoscibili, una sorta di robusto rock psichedelico, che stavolta i fratelloni riescono di nuovo a declinare in maniera innovativa, smussandone gli angoli, e segnando una nuova e allargata consapevolezza del loro processo creativo, strumentale e vocale.

Dal punto di vista delle liriche, la band ha tratto ispirazione dallo stile irregolare e confessionale dell’autore norvegese Karl Ove Knausgård.
«In tutti i momenti difficili c’è bellezza e verità, anche se ci vuole molta forza per accorgersene», ha concluso Van Carney.
«Abbiamo imparato che ci possono essere illimitate opportunità davanti a noi, ma solo se si è davvero pronti a perseguirle. Non è affatto un album politico, ma il messaggio che vogliamo dare è quanto sia importante esserci in ogni momento. Forse tutto sta andando a rotoli. Ma non bisogna rassegnarci al peggio, dobbiamo sempre impegnarci e fare qualcosa per far andare le cose nel miglioro modo possibile».

E non c’è dubbio che Van, Lain e Jennings Carney sia con la loro Pen Druid Brewing che con il nuovo album a marchio Pontiak, hanno fatto l’ennesimo centro, completando così una discografia quasi perfetta che li consacra come miglior band di rock psichedelico del nuovo millennio, capace di standard qualitativi elevatissimi.

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