Jozef Van Wissem – Nobody Living Can Ever Make Me Turn Back


Jozef Van Wissem
è un compositore e liutista olandese trapiantato a New York.
La sua musica prende spunto dallo studio approfondito della musica barocca e di alcune sue particolarità, come la riproduzione al contrario delle partiture per liuto.
Mi spiego meglio: data una partitura per liuto, detta “cantus firmus”, si procede poi con il suonare sul “cantus firmus” la stessa partitura ma letta a specchio, dalla fine verso l’inizio. Dall’angolo in basso a destra chiudendo con l’angolo in altro a sinistra.
Ma il suo lavoro non si limita a questo: grazie all’utilizzo di tecniche musicali e letterarie, Van Wissem è riuscito ad aggiungere a questa ricerca un’impronta moderna grazie all’inserimento di venature sonore che vanno dallo psych-folk al progressive passando anche per l’elettronica.
Dire che il suo lavoro è magnifico è dire poco.

Nella maggior parte dei casi l’ispirazione nasce da tematiche intimamente religiose, dalla stupenda fugacità della vita fino al senso più profondo della morte.
Tuttavia, questi concetti vanno ben interpretati.
Van Wissem non è un pedante religioso che cerca di lodare Dio attraverso la sua musica: il suo, semmai, è più un dialogo interiore con Dio e col mondo, che usa la musica come veicolo.
La sua religiosità non è quella di comune intendimento.
Il suo lavoro infatti parte dalla musica ma sa muoversi in maniera eccelsa anche in altri campi come la storia, la filosofia, la storia dell’arte fino ad arrivare al cinema.
Negli ultimi anni infatti si è fatta sempre più stretta la collaborazione con un grande regista e sceneggiatore quale Jim Jarmush.
Una collaborazione solida al punto che se è vero che il regista utilizza alcuni dei suoi componimenti come colonna sonora per i suoi film, è altrettanto vero che in molti casi in sala di registrazione con Van Wissem c’è proprio Jarmush.
Nel 2012 hanno realizzato insieme un bellissimo album il cui titolo non poteva che essere “The Mistery Of Heaven”.

In questo suo ultimo lavoro dal nome “Nobody Living Can Ever Make Me Turn Back”, Jozef Van Wissem continua l’esplorazione delle pieghe più nascoste e intime dell’animo umano cercando di mettersi (e metterci) difronte a tematiche intimiste che solo la sua musica sa rievocare.
L’impostazione è quella a lui cara: musica barocca per liuto.
Tuttavia, su queste melodie si intrecciano voci, ritmi e suoni che sanno far sprofondare tanto quanto risorgere.
L’album si apre con ‘Virium Illarum‘ che, se il mio latino non mi inganna, significa “di quelle forze”.
Come si può notare sin da un primo ascolto l’ispirazione nasce da tematiche e da conoscenze antiche, profonde, sotterranee.
L’album prosegue con ‘Golden Bells Ring In The Ears of Earth’s Inhabitant’.
La delicatezza malinconica del giro di liuto che fa da base è in contrasto con i suoni grevi e distanti che si percepiscono in sottofondo.
Non si può non viaggiare con la mente ascoltando questo brano, mon si possono fermare le immagini che come ombre ataviche si insinuano nella mente di chi ascolta.
Ogni cosa nell’opera di Van Wissem ha un riferimento storico o storiografico e per capire a fondo il suo lavoro è necessario uno studio approfondito.
Di tutto.
La stupenda fugacità della vita è il tema del terzo brano, ‘Your Days Gone Like A Shadow’.
E se il titolo non bastasse da solo a comunicare il significato di questo brano, ci pensa il ritornello: «How Did I Come To This Conclusion?».
In questo brano non c’è amarezza, non c’è rancore.
C’è una rassegnata ma sorridente e curiosa accettazione del proprio percorso.
Il quarto brano è ancor più esemplificativo del suo percorso, tanto umano quanto lavorativo.
The Empty Cup Of Suffering’, brano in cui le pause hanno la stessa importanza dei tocchi di liuto.
Ed è per questo che brevi arpeggi si inseguono in un vuoto costruito ad arte, lo stesso vuoto della coppa del titolo – un vuoto colmo di riflessioni tra un arpeggio e l’altro.
L’ottavo brano, ‘The Conversation‘ , è ispirato alla difficolta nella comunicazione nei giorni nostri come nel passato, ma soprattutto all’impossibilità di comunicare realmente il proprio pensiero: «[…] from the end of the world I call you», recita l’ultima strofa.
L’album si chiude con ‘Our Bones Lie Scattered Before The Pit‘, “Le nostre ossa giacciono sparpagliate difronte la fossa”.
Questo brano, lungo quasi 13 minuti, accompagna alla fine dell’album – verso la fine di tutto.
Forse più che in tutti gli altri pezzi qui si riesce a percepire una malinconia tagliente, desolata: un accompagnamento musicale che come una personalissima marcia funebre ci guida alla fossa.
Tutti i brani di questo album di Jozef Van Wissem sono infatti ispirati dalla “Vanitas” dipinta da Cindy Wright, pittrice belga il cui quadro (che è anche la copertina del disco) rappresenta una farfalla posata su un teschio umano, simbolo della fugacità e della delicatezza della storia umana.

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