Gianni Banni – Danza Globulare

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Se fossi in grado di quantificare l’ondata di dischi che travolge ogni giorno una webzine, sarei costretto a parlare di innumerevoli infiniti, ai quali aggiungerei simboli matematici messi lì a caso.
Gli artisti sono tanti, le produzioni anche, per non parlare dei progetti paralleli.
Vogliamo spendere qualche parola sui generi, invece?
Secondo alcuni toccano quota 147, omettendo gli ulteriori sottogeneri o gli eventuali generi di nicchia – per farvi un esempio, solo in materia di heavy metal spaziamo dal groove, thrash, black, death, industrial, progressive tralasciando poi le punte più estreme.

Se il mondo è bello perché è vario, la musica com’è?
Ognuno ascolta e suona quel che vuole, per passione o per lavoro, perché almeno in quello si è liberi di compiere le proprie scelte. Questo ci offre la possibilità di ascoltare di tutto, di scegliere un artista a discapito di un altro, scoprirne uno nuovo o restare fedeli a qualcuno che già si conosce.
Un recensore, a maggior ragione, ha il compito di esprimere la propria opinione.

Ma veniamo al dunque.
Il disco del napoletano Gianni Banni chiamato Danza Globulare, ad esempio, è il tipico lavoro che scarterei.
Piacerà a qualcun’altro, sono sicuro che sarà così.
Sono dell’idea che anche la maggior parte delle cose che ascolto solitamente piacerà a pochi, questione di gusti, e proprio per questo mi limiterò semplicemente ad elencare, nei limiti del possibile, i motivi per cui questo disco non merita un giudizio positivo.

Cominciamo dal genere di riferimento: electronic black metal.
Non sarò sicuramente un esperto in materia, ma conosco le caratteristiche più evidenti: in questo disco l’elettronica c’è, il black metal manca.
Spesso è difficile autodefinirsi, molte band credono di far parte ad un filone artistico e magari rientrano inconsciamente in un altro, e questo non è un male, semplicemente accade. A tanti, come a Gianni Banni.
Parliamo del messaggio di questo disco: a mio parere, è assente.
Sebbene nascosto da sonorità meno orecchiabili di altre, ogni genere musicale, non vi può rinunciare.
Forse è un mio limite, forse un concept di base c’è, fatto sta che io non sono riuscito a coglierlo – o magari questa privazione rappresenta il vero intento dell’artista.
Una traccia che ho apprezzato da dal punto di vista sonoro?
Tanti galli a cantare: un bel brano, il migliore del disco, che fa sentire in pieno un’atmosfera quasi tribale ed enigmatica e presenta un noise di base che non è affatto male.

La musica è bella tutta, e riprendendo il concetto già espresso ad inizio articolo, ognuno ascolta o suona quel che desidera.
Per questo, mi assumo la libertà di affermare che questo disco non mi piace, o, forse, io non l’ho capito.
Magari un giorno me ne pentirò, chi lo sa?

 

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