Belle And Sebastian – How To Solve Our Human Problems

Una volta sono stato in vacanza in Scozia.
La prima cosa che ho visto dalla finestra dello studentato di Glasgow dove alloggiavo è stata un cappio appeso ad un lampione: una premessa che forse in parte spiega perché una delle band più importanti della scena indie mondiale, nata proprio tra le strade di Glasgow, abbia deciso di intitolare il loro ultimo lavoro “How to solve our human problems”.

I Belle and Sebastian tornano a tre anni di distanza dal disco che aveva visto deviarli decisamente sul versante elettronico: nel 2015 infatti, “Girls In Peacetime Want To Dance”, lasciò abbastanza spiazzati i loro fan.
Allo stesso tempo Stuart Murdoch e soci hanno deciso di tornare al passato, registrando di nuovo a Glasgow, in casa loro con un approccio molto fedele ai loro inizi, ripescando sonorità ed ambientazioni più familiari ai loro primi lavori ma lo hanno fatto a modo loro.

In un mercato discografico estremamente stressato ed alla costante ricerca di qualcosa di nuovo hanno deciso di dividere la loro ultima fatica discografica in tre diversi Ep pubblicati agli inizi dei mesi di Dicembre, Gennaio e Febbraio.
A cavallo tra il 2017 ed il 2018 ci sono arrivati i tre capitoli, in totale 15 brani che compendiano molta della cifra stilistica che ha contribuito a radunare dietro i Belle and Sebastian schiere di fan adoranti.

Un esperimento simile i nostri lo avevano fatto già vent’anni fa con “Dog On Wheels”, “Lazy Line Painter Jane” e “3…6…9 Seconds Of Light”, stavolta però l’operazione era volta a provare a smuovere le acque di un ambiente in cui i Belle and Sebastien non vogliono soltanto stare a galla.
Con i loro brani riescono in quello che sanno fare meglio, rilassare chi li ascolta e trasportarli in una dimensione altra in cui anche riflettere su ciò che ci circonda non è un’attività astrusa. La loro musica riflette del tempo che è passato e alternano le classiche ballate che li hanno resi famosi (Fickle Season, I’ll be your pilot, There is an everlasting song) a brani bagnati di elettronica che con i loro crescendo restituiscono un’energia ancora fresca e presente all’interno della band, vedi ad esempio ‘Sweet Dew Lee‘, ‘Show me the sun‘ e ‘The girl doesn’t mean it‘.

Pescando ancora da questo piccolo universo indie rock si può notare come le influenze non manchino, ‘We were beautiful‘, il secondo brano del disco sembra scritto in uno studio di registrazione di Bristol nei lontani anni ’90. La canzone col suo ritmo quasi drum’n’bass mostra le tinte più scure che Murdoch e soci non sempre mettono in evidenza ma con cui dimostrano chiaramente di convivere nel migliore dei modi. Come se non bastasse in ‘Poor Boy‘ tirano fuori anche un pezzo R’n’B degno di una serata Soul Train ed insieme a  ‘Too many tears‘ invece rispolverano la parte più sfolgorante degli anni ’70 con abbondante uso della sezione fiati.

“How to solve our human problems” è un disco che probabilmente non tutti metteranno nei posti più importanti della propria vetrina musicale, ma di certo al suo interno contiene canzoni di pregevole fattura. E’ un po’ la metafora di un genere che gli stessi autori hanno contribuito a definire con le loro canzoni. Tre Ep che messi insieme sono capaci di farci viaggiare da un salotto dove ascoltare una ballad voce e chitarra fino ad un’autostrada assolata dove alzare il volume con un brano da urlare, passando per i club dove ballare stretti tra la gente.

E quindi anche quando si è a Glasgow e magari piove, nonostante tutte le premesse siano negative si può benissimo ignorare quel cappio attaccato al lampione di fronte casa e sentirsi in una dimensione diversa

In my waking dream, as I walk down the street/In another dimension, oh, in a parallel world/I am holding your hand

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