The Black Heart Procession live a Segrate (MI): una festa crepuscolare

C’è chi l’8 marzo si concede una notte di follie, bagordi e divertimento scacciapensieri, e chi decide che l’allegria non le/gli appartiene e opta per il concerto milanese dei The Black Heart Procession.
Noi di Oca Nera Rock siamo dei gran simpaticoni, ma abbiamo deciso di fermarci al Circolo Magnolia di Segrate per assistere alla chiusura del minitour italiano della band di San Diego, e siamo convinti di aver preso la giusta decisione.

In apertura Worlds Dirtiest Sport, un nome da band per un solo uomo, al secolo Kevin Branstetter dei Trumans Water. Anche lui arriva da San Diego, con una maschera in fronte che gli semi-nasconde il viso si piazza su uno sgabello e inizia a trafficare con la pedaliera. I pezzi hanno una preparazione lunga come quella per il pranzo di Natale, attraverso la costruzione di campionamenti di basso e batteria elettrica da ripetere a oltranza, su cui poi ci suona la chitarra e ci canta.

Apre e chiude con uno shoegaze morbido, feedback e suoni di chitarra graffianti e una voce bassa e dall’effetto stonato, in mezzo ci mette parecchio noise, sempre morbido, costruendo il suono per layer attraverso i suoni più disparati: fa lo slide con un archetto, campiona addirittura il rumore del jack che si inserisce nella chitarra. I pezzi di Worlds Dirtiest Sport sono molto luminosi, nonostante tutto, grazie anche ai giri di basso che sono sempre puliti e melodici.

Al lato buio e oscuro della forza ci pensano The Black Heart Procession, con un inizio crepuscolare e struggente, tutti in seduta, con la fisarmonica a restituire l’effetto nostalgia. Pall Jenkins, cantante e chitarrista, detta la linea: quando si alza in piedi e si arma di chitarra, si alzano anche i watt e la musica si riempie. È un po’ un festival di ballate serie per persone mature, con una totale assenza di brio richiesta dal copione.

Il plot di fondo è cupo e rauco, e da esso ci si allontana poco, in un’atmosfera afona e atona. The Black Heart Procession navigano nelle viscere, toccando nell’animo le corde più povere di endorfine.
I richiami alla musica classica sono neri, pomposi e macabri, risvegliando ogni tanto il battito cardiaco quando aggrediscono il tempo in modo composto. L’aria che si respira è ovviamente triste, triste come quando qualcosa si rompe o si spezza, e certi colpi di batteria hanno l’effetto di una badilata all’altezza dello sterno.

Per l’encore, The Black Heart Procession si spostano sul blues coscienzioso e consapevole, sono tutti d’un pezzo e nemici di ogni virtuosismo e ghirigoro. Non c’è spazio per alcuna discesa ardita, solo qualche accenno a malinconiche risalite. Slowcore buio, leggermente ammorbidito dal tocco balcanico dei due innesti live, il batterista/violinista e il fisarmonicista provenienti entrambi dalla Serbia, un sospetto che viene esplicitato solo nel giro finale di presentazioni.

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Matteo Ferrari

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Nato nel 1984 nell'allora Regno Lombardo-Veneto. Un onesto intelletto prestato all'industria metalmeccanica, mentre la presunta ispirazione trova sfogo nelle canzonette d'Albione, nelle distorsioni, nei bassi ingombranti e nel running incostante.

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