Marlene Kuntz live a Torino: sulla strada dei ricordi

Iniziamo dalla fine. Come si fa, ogni sera, a tirare fuori l’energia e la botta per suonare ‘Ape regina’ ancora più carica, cazzuta e fragorosa della sera precedente, del tour precedente, del millennio precedente? Non si sa, eppure in qualche modo i Marlene Kuntz riescono a farlo, probabilmente corroborati dall’eccitazione prodotta nel pubblico da questa canzone. Da sempre rappresenta l’orgasmo dei loro live, in cui pubblico e band vengono insieme.

È un brano che usciva vent’anni fa dentro “Il Vile”, viola la copertina di un disco che alcuni preferiscono allo stesso “Catartica”. Un pezzo violentissimo senza essere particolarmente veloce o dissonante, un pezzo indimenticabile che non finirà in nessun canzoniere perché nessuno ha interesse a suonarlo o riprodurlo: ha senso solo assistere all’esecuzione dei loro autori, i Marlene Kuntz. Il chitarrista Riccardo Tesio, dopo vent’anni di compostezza e low-profile, stavolta lo vedo improvvisamente cartellare la batteria con la chitarra. Se si viene posseduti dal demone del rock’n’roll, è giusto che accada in ‘Ape regina’.

Chi scrive quasi mai va ai concerti da solo, dunque esistono presenze invisibili che condizionano il segno dei report. All’Hiroshima Mon Amour sono insieme al Fertile (soprannome), colui che mi fece conoscere i Marlene Kuntz nei favolosi 90s. Sa i testi a memoria e li canta precisi come da album, mentre Cristiano Godano spezzetta e scompone le melodie perché (immagino) a cantarle mille volte gli è venuta voglia di cambiare un po’. Ma non esagerare eh 🙂

Tante inconfondibili “facce da Marlene” tra il pubblico: se per certi concerti si potrebbero scrivere trattati di sociologia, qui potrebbe esserci materiale da fisiognomica. Siamo un po’ tutti over 30, il gruppo cuneese forse è troppo coriaceo per le tenere orecchie ventenni. Altri loro colleghi coetanei (per esempio, Tre Allegri Ragazzi Morti) hanno nel loro pubblico una tendenza anagrafica inversa.

Ci avvicina una riccia e parla con noi e scherziamo eccetera. La faccio breve, dice che conosce i MK e le piacciono le canzoni vecchie. E io: «grande! Qual è la tua preferita?» E lei: «beh, conosco ‘La canzone che scrivo per te’… e poi quella cover dei Nomadi…».

Avete presente le tipiche frasi anti-sesso, il congiuntivo sbagliato che basta ad ammosciare tutto? Ecco, questa risposta purtroppo per gente come me e il Fertile vale come un “se avrei”. Ci defiliamo con sufficienza indie-snob da personaggi di un romanzo di Nick Hornby.

Il concerto fila via che è un piacere, c’è una bella scaletta che pesca canzoni da un po’ tutti i dischi. L’ultimo (“Lunga attesa”) è uno dei meglio accolti fra i loro più recenti, non che gli altri valessero meno, ma questo come sonorità è più simile ai favolosi 90s di cui sopra.

‘Sulla strada dei ricordi’ per me è uno dei pezzi più interessanti del disco ma di cui le recensioni non parlano mai. Il testo allude a una serie di pezzi storici dei Marlene Kuntz, forse “ammazzandoli”, forse ammettendo velleità, forse riconoscendo proprie colpe. Chissà? Altre chiacchiere qui.

E poi certo, c’è anche ‘La canzone che scrivo per te’ (attenzione: la riccia di prima sa a memoria tutte le parti di Skin!), comunque non vorrei spoilerare oltremodo la scaletta. La camicetta di Cristiano Godano è zuppa di sudore. Si respira una bella atmosfera, come fossimo tutti una specie di piccolo paese, una grande famiglia. Tra tutti, non più di un grado di separazione.

Visto che abbiamo iniziato dalla fine, finiamo con l’inizio: ad aprire c’era Lory Muratti e le sue storie americane di botte e inseguimenti fuori dai locali e di angeli che si accordano sul suo destino, su cui ha scritto un libro e alcune canzoni/reading.

Rubo infine una foto della serata a Turi Oppedisano, amico e cantautore. Una cartolina dal 1 aprile 2016 che mandiamo al 1 aprile 1996 (indirizzo: sulla Strada dei Ricordi ’96) per far vedere che anche oggi abbiamo i Marlene Kuntz e ne godiamo.

Marlene Kuntz Hiroshima 2016

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