Joshua Radin live a Milano: uno dei nostri

Sul treno di rientro a Roma, mi atteggio un po’ a business man milanese intento a scrivere e trafficare fra pc e smartphone, e intanto faccio il punto delle ultime ventiquattr’ore.
Prima volta nella capitale della moda (si, lo so è una cosa molto brutta), ovviamente primo concerto a Milano, primo impatto con gli autoctoni.
Tutto molto meglio di come me lo aspettassi: prevenuto com’ero, mi è parsa perfino una città meno caotica di come viene sempre descritta!
Dove avrei potuto incappare nel solo intoppo del viaggio se non al Circolo Arci Bellezza, location del concerto di Radin del 28 novembre?
Dopo aver spiegato ai gestori la differenza fra giornalista ed accredito stampa e dopo avermi scucito ben quindici euro di tessera arci (la più costosa che io abbia mai visto, per inciso), mi lasciano entrare per godere un po’ di musica folk.

Come Dio vuole, entra Joshua Radin: immancabile cappello a tesa larga calcato sulla testa, maglione di cui si disfa rapidamente e la solita vecchia chitarra che usa ormai da anni, come racconterà durante la performance. Bastano le poche note dei primi arpeggi per imporre il giusto silenzio che richiede una musica sussurrata e amorevolmente tratteggiata come quella del cantautore di Los Angeles.
La sua voce, poi, dal vivo è davvero magnetica.
Chi lo conosce sa di andare incontro ad uno show che tende più all’intimità che non alla sfrenatezza, e anche io me lo aspettavo.
Radin però deve aver appreso, nel corso degli anni, il metodo giusto per dare una maggiore dinamicità alla serata: fra una canzone e l’altra intrattiene il pubblico raccontando la genesi del brano che sarebbe seguito, entrando nel merito della sua vita personale, inserendo di quando in quando battute di spirito molto simpatiche e aneddoti confidenziali e professionali.
Il famoso scambio che si avverte fra pubblico e artista durante un live dipende molto dall’empatia di chi sta sul palco, e devo dire che questa volta ce n’era a pacchi.
Il ruolo del semplice ragazzo di campagna (ormai un po’stagionato) impacciato e timido riesce molto bene a Radin, anche se nel corso della serata si scioglie un po’ pure grazie al whisky che sorseggia, riuscendo allora a stringere a sé il pubblico: ha eseguito ogni canzone venisse richiesta, si è informato della provenienza dei ragazzi stranieri presenti nelle prime file e ha invitato tutti a bere qualcosa insieme prima di andare a dormire.
Il clima si è decisamente scaldato. Incalzano le canzoni dell’album che uscirà a gennaio, molto ritmate e sostenute dagli applausi del pubblico, come suggerito dal cantante stesso; il pubblico si fa coraggio e inizia a seguirlo cantando insieme a lui: il muro invisibile fra palco e parterre scricchiola sempre di più, si conversa con l’artista che ormai è praticamente “uno dei nostri”. Una performance che ha visto un’escalation simile dal punto di vista della confidenza non può che concludersi portando l’asticella al limite, e così Radin scende dal palco ed esegue l’ultimo brano in un angolo della sala, senza luci addosso (escluse quelle dei telefonini coi quali viene filmato e ai quali risponde con un sorridente «Do it, I don’t care»), lontano dal microfono e letteralmente in mezzo alla gente, sostenuto solo dalla sua voce e dalla fedele chitarra.

Il concerto è finito, andate in pace.

E invece no, perché Radin rimane lì dove ha concluso lo spettacolo e non se ne andrà prima di aver soddisfatto le richieste di autografi, foto e strette di mano varie.
Chissà che poi non sia davvero andato a bere con qualche fan, in quella gelida notte milanese.


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1 Comments

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  1. tessera arci 15 euro!?!?!

    Paolo Plinio Albera / Rispondi

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