Electric Castle, il Festival che non t’aspetti

Raggiungere Bontida, lo sperduto villaggio che ospita per il terzo anno consecutivo l’Electric Castle Festival dal 24 al 28 giugno, è un’impresa che ha per metà il sapore della gita scolastica e per metaà quello del rave illegale nel mezzo bel mezzo del nulla.
Si parte da Cluj-Napoca, città universitaria alle porte della Transilvania, con un pullman pieno zeppo di altri festivalgoers.
L’atmosfera è allegra e rilassata, e l’età media molto giovane. Mentre il bus taglia l’abitato, l’occhio mi cade su un cartellone che annuncia il prossimo grande evento dell’estate, il live di Al Bano e Ricchi e Poveri – il perché Al Bano sia cosi’ popolare nell’Est Europa e’ un interrogativo insoluto che mi accompagna da anni, ma vabbe’.
Arriviamo a Bontida nel giro di quaranta minuti, tempo durante il quale il cielo passa da un bianco latteo ad un nero funereo e gonfio di nuvole. Scesa dal pullman, investita da una pioggia fitta e insistente, non mi resta che mettermi in coda fuori dalla ferramenta locale per comprare la merce piu’ desiderata dell’intero festival (e no, non sto affatto riferendomi a sostanze allucinogene): le galosce.

Bardata alla bell’e meglio, mi faccio strada in mezzo a quantità di fango che manco a Glastonbury e finalmente riesco ad esplorare gli spazi del festival, che sono oggettivamente enormi.
Si parla di ben sei palchi e più di centocinquanta artisti, spalmati in quattro giorni di musica pressoché ininterrotta dalle 18 al mezzogiorno del di’ seguente.
Ci sono tre grandi palchi all’aperto:
– il Boiler Stage dove si esibiranno gli headliners;
– il palco The Roots interamente dedicato a reggae e dub;
– il palco Red Bull Music Academy, dove hanno luogo Dj set sperimentali.
Dopo tutto ciò, non può mancare una Silent Disco evoluta, uno spazio per fanatici del vinile con dj set live, due spazi al coperto in stile club berlinese (The Stables e The Mill) e un club con piscina, il Booha College.
Tutto ciò senza contare una miriade di bar, food stalls e angoli per rilassarsi e riprendersi dalle fatiche della notte precedente.
Insomma, l’Electric Castle alla sua terza edizione si presenta davvero piu’ ambizioso che mai.

DAY 01

Il primo giorno si parte con il caldo soul dei californiani Monophonics, ottimi apripista per i veterani Asian Dub Foundation.
E’ evidente che la pioggia non ferma la carica della loro elettronica impegnata, impreziosita da influenze dub e sonorità orientali.
I frontmen Aktav8r e Ghetto Priest trascinano il pubblico in una danza frenetica, incurante del fango, che esplode quando la band intona uno dei brani piu’ popolari della propria discografia, ‘Flyover‘.


Subito dopo, e’ il turno della Parov Stelar Band – un tripudio di electro swing con tracce di EDM, sicuramente uno dei live acts più attesi del festival.
E di colpo, è gia’ arrivato il momento del primo headliner, Fatboy Slim.
Prendo un attimo di respiro andando a curiosare nelle Stables, dove mentre sorseggio un cocktail a base di Tatratea (una specie di brandy dolcissimo, estremamente popolare da queste parti) mi accompagnano i beat hip-hop di Klaus EB.
La pausa dura poco: il Dj piu’ famoso del pianeta sta per calcare il palco.
Gli anni di attività non sembrano pesare sulle sue spalle mentre salta e si agita, quasi tarantolato, dietro la consolle.
Lo show e’ curatissimo, il cortile del castello gremito fino all’inverosimile, le hit si susseguono – ma manca qualcosa.
C’è l’energia, il video mapping di ultimissima generazione e tutto il mestiere nei manierismi di un consumato entertainer, ma Fatboy Slim dal vivo suona inevitabilmente come una collezione di grandi successi sulla quale è divertente fare quattro salti e nulla più.
Per riprendermi dallo shock, e anche dalla fatica (perche’ nonostante tutto, il buon Norman Cook sa come farti muovere il culo) mi sposto verso il palco Red Bull, dove e’ tutto pronto per i Siriusmodeselektor.
Nati dall’unione fra i Modeselektor, duo di punta della scena elettronica berlinese (che vanta, fra le altre cose, varie collaborazioni con Thom Yorke dei Radiohead) e Siriusmo, produttore tedesco, sono una delle novità più succose del 2015 e, personalmente, li attendo con la stessa trepidazione di nomi ben piu’ noti.
Il loro Dj set non delude le mie alte aspettative: attingendo al repertorio di entrambi i progetti, mescolati ad elementi techno, dub ed hip hop, il trio genera una macchina da guerra di beats che non lascia un attimo di respiro.
Non mancano alcuni accenni dei brani piu’ conosciuti, come ‘Evil Twins‘ e ‘The White Flash‘ dei Modeselektor e ‘Nights Off‘ di Siriusmo.
Non si può che ballare in un crescendo acidissimo e tirato, quasi intrappolati da una spirale di suoni a tratti spigolosi, a tratti suadenti.
I Modeselektor in particolare sanno di essere ad un festival all’aperto e non cessano di fomentare il pubblico. Siriusmo ha un’attitudine differente, più introversa, ma è nell’equilibrio di tali inclinazioni che Siriusmodeselektor ha successo e si conferma una realtà da tenere d’occhio negli anni a venire.

DAY 02

Il secondo giorno si comincia con i Subcarpati, amatissimi dal pubblico locale, che mescolano canzoni tradizionali rumene ad elementi dubstep, trip hop e dancehall.
Divertenti, anche se forse la mia preferenza per suoni più freddi non mi permette di godermeli al massimo.
Scambio quattro chiacchiere con C., un giornalista di Cluj che conosce l’italiano.
Mi parla di come sia cresciuto l’Electric Festival nel corso degli anni, dei problemi organizzativi dopo la pioggia inattesa e di che tipo di pubblico va a festival di questo genere, ovvero «una generazione di giovani che è qui grazie ai soldi guadagnati dai propri genitori, che si può permettere di studiare all’università e di seguire le mode hipster che vengono dall’estero».
E guardandomi intorno, in effetti, la maggior parte delle persone che mangiano, bevono, consumano incessantemente ai vari stand del festival sono abbigliate alla moda di Glastonbury, Field Day o Melt Festival, vogliono il sushi invece delle più tipiche salsicce o pannocchie, in un modo completamente diverso rispetto a quello italiano.
E se per gli stranieri venire qui significa godersi un festival a bassissimo prezzo (per me che vengo dalla Gran Bretagna, ad esempio, conviene pagare quarantacinque sterline per quattro giorni di festival piuttosto che la stessa cifra per vedere magari solamente i Prodigy dal terzo anello dello stadio di Wembley), lo stesso non si può dire per il pubblico rumeno.
E’ uno strano fenomeno, che mi fa sentire leggermente in colpa.
Per fortuna che qui la birra, buona, costa un euro a lattina – quando si dice bere per dimenticare.
E forse dimenticabile è il set di Netsky, alfiere di una nuova ondata di drum and bass direttamente dal Belgio – una fiera di banalità che ti fa rimpiangere Skrillex.
Il pubblico non condivide la mia opinione e si agita felice, guidato dalla live band che accompagna il musicista belga.
Ma poco importa, perchè è arrivato il turno dei The Glitch Mob, altro grande nome: il trio americano presenta il nuovo album ‘Piece of the Indestructible‘, che si allontana dalle sonorità underground del primo disco (‘Drink the Sea‘) sulla scia del successo del secondo (‘Love Death Immortality‘) per abbracciare un sound decisamente più commerciale.
Innegabile è la loro energia, la ricercatezza nella pulizia dei suoni e l’attenzione per la parte visuale dello show (le videoproiezioni sono splendide ed originali), benchè gli episodi migliori a mio parere appartengano tutti al primo album.
Ciononostante, la prima metà del set è una bomba ad orologeria che fa scuotere ogni persona presente.


Concludo la serata tornando alle Stables, dove Grid tira fuori un set niente male – un’onesta drum and bass ricca di influenze anni ’90, piacevolmente priva di cassa dritta.

DAY 03

Personalmente, il terzo giorno e’ stato il giorno di Ellen Allien, Dj-musicista-creativa berlinese a tutto tondo. La signora Fraatz ha tirato fuori un Dj set breve (poco più di un’ora e mezza) ma davvero eccitante, nel quale l’IDM (Intelligent Dance Music) si è mescolata alla dance commerciale e all’electro, in un mix che è espressione del suo vivere divisa fra Berlino ed Ibiza.


Prima di lei, è stata divertente l’esibizione dell’orchestra Notes and Ties – una rassegna di colonne sonore da ‘Pulp Fiction‘ a ‘Lord of the Rings‘, per poi chiudere in bellezza con la versione orchestrale di ‘Right Here, Right Now‘ di Fatboy Slim, ‘Smack my Bitch Up‘ e soprattutto una azzeccata ‘Voodoo People‘ dei Prodigy.
I Nouvelle Vague hanno riportato sul palco calde vibrazioni bossa nova, ed hanno aperto la strada agli inglesi Dub Pistols, uno dei gruppi più amati all’Electric Castle, presenti nella line up del festival fin dalla prima edizione. Il loro show è stato davvero rock’n’roll, fra stage diving, scambio di bibite alcooliche col pubblico e una hit dopo l’altra. Non sono un’amante della dub, ma vederli sul palco è davvero un’esperienza ed è impossibile restare impassibili dinanzi ad una simile esibizione.
I Dub Pistols cedono il palco ai Rudimental, trio inglese che quest’anno compare nella line-up di qualsiasi festival europeo – un po’ come il prezzemolo o come i Verdena in Italia – esportando la loro musica che nasce dalla contaminazione fra drum and bass e soul.
Feel the Love‘ e’ accolta dal pubblico come un vero e proprio inno, ma io preferisco avvicinarmi al Red Bull Music Academy Stage e ascoltare Cardopusher, Dj basato a Barcellona, che precede la suddetta Ellen Allien.

DAY 04

E’ già arrivato il quarto ed ultimo giorno dell’Electric Festival: con aria malinconica mi dondolo sull’amaca nella zona chillout mentre sorseggio l’ennesima birra (l’avete mai provata la colazione a base di bretzel e birra? Grazie Romania!). Il tempo è passato velocissimo, la pioggia ci ha abbandonato dopo la prima giornata ed è quasi tempo di bilanci.
Ci penso mentre provo uno shot di ossigeno puro al 99% ad uno dei banchetti del festival, i cui gestori mi assicurano sia la miglior cura contro l’hangover. Sarà, ma forse questo non è hangover, è già nostalgia. Devastata dalle fatiche di questi quattro giorni, insieme a un po’ di ragazzi conosciuti fronte palco ascolto i The Cat Empire aprire le danze mentre mi stendo a prendere il sole sul prato a fianco del castello.
Il gruppo australiano sfodera un’ottima performance ed il loro mix di ska e jazz suona davvero rinfrescante in questo assolato pomeriggio estivo. Mi alzo dall’erba in tempo per vederli chiudere in maniera trionfale.


Mentre aspetto che i The Subways terminino il cambio palco, mi avventuro fino al palco Roots, dove Kaze Soundsystem sta facendo ballare una discreta folla di appassionati di musica reggae: peccato che le mie orecchie cresciute a pane e post-punk non riescano a reggere per piu’ di due o tre canzoni.
I Subways iniziano presto: il loro e’ un set ricco di hit, suonato con la gioia e il puro piacere di trovarsi davanti ad un pubblico di quasi centomila persone, accorse per il concerto dei Prodigy. Nel complesso i Subways eseguono un indie-rock onesto, forse un po’ demodé (gli echi di Killers, Franz Ferdinand e Kasabian si fanno sentire prepotentemente) ma amato dalla folla, tanto che il vocalist Billy Lunn riesce persino a fare stage diving.
L’atmosfera è carica e pronta per il clou di questa maratona musica, ovver i Prodigy: non sto nella pelle.
Quando il trio britannico calca il palco, su cui campeggia la volpe che compare in copertina dell’ultimo album ‘The Day is my Enemy‘, il boato del pubblico è assordante.
Diventiamo tutti un’unica onda umana che salta incessantemente non appena le prime note di ‘Breathe‘ riempiono lo spazio di fronte al Banffy Castle.
Liam Howlett ruggisce ordini a destra e a manca: «Get down, get down! Jump!» – chi resta fermo è perduto.
I singoli tratti dall’ultimo album (l’esplosiva title track, la ultra-catchy ‘Nasty‘) sono ben accolti da un pubblico attento, che evidentemente ha seguito la band anche nelle sue più recenti trasformazioni, ma è quando si va all’indietro nella discografia dei Prodigy che la voglia di ballare e gridare si impossessa anche dell’ultimo arrivato.
Omen‘ e ‘Firestarter‘, entrambe remixate per l’occasione in una versione più martellante e tirata, mi fanno esplodere di gioia. ‘Run with the Wolves‘, che vede anche il vocalist Maxim indossare una specie di cappuccio dalla forma canina, è una chicca gustosa seguita da una acidissima ‘Invaders Must Die‘, che lascia spazio alla sequenza killer ‘Wall of Death‘ e ‘Smack my Bitch Up‘, sulla quale il pogo si scatena indiavolato.
Un’ora è volata, e si sa: nei festival spesso i set devono essere brevi.
I Prodigy scendono dal palco ma le luci restano accese, ed il pubblico risponde ruggendo e chiamandoli a gran voce. Non passa che un minuto che i tre tornano sul palco, e Liam Howlett tuona «do you want more?»: certo che sì.
Si parte con un singolone degli inizi, ‘Their Law‘ e poi si passa ad una versione estesa e ultraviolenta di ‘Take Me to the Hospital‘.
Nel complesso i Prodigy hanno mostrato un’energia incredibile e di essere tutt’ora un unicum nel panorama della musica elettronica con il loro mix di hip hop, punk, elettronica e rave che non cessa di essere attuale fin dall’uscita di ‘The Fat of the Land‘.
Benché il loro set sia stato breve, ho personalmente bisogno di riprendermi: tralascio il live show dei britannici Sigma in favore del Dj set del mio amato Apparat, che con la sua elettronica raffinata sa trascinare l’ascoltatore in una trance speciale, degna conclusione di un festival entusiasmante.

Fra alti e bassi, fango e sole, headliners elettrizzanti ed altri che hanno tradito le mie aspettative, fra Dj di nicchia capaci di compiere meraviglie ed un buon 90% di musicisti troppo legati alla musica commerciale, questi quattro giorni mi hanno dato davvero tanto.
Come ci hanno ben sottolineato gli organizzatori dell’Electric Castle nel discorso finale, alle sette del mattino seguente, mentre Worakls sapientemente mixava beats adatti al comedown del giorno dopo, andare ad un festival e’ un’esperienza che cambia la vita.
E io non posso che sottoscrivere.

Ecco la photogallery del Festival

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