Bianca Casady: un approccio anti-intrattenimento

Il fascino di Bianca Casady si avverte anche in questa intervista, asciutta ma onesta.
Dalla chiacchierata con la performer americana è emersa la sua naturale inclinazione alla sperimentazione applicata al mondo dell’arte in generale: ce ne ha parlato senza troppi fronzoli e senza divagare.
Perché Bianca Casady è così: tagliente ed impattante sul palco, minimalista in tutto il resto.
D’altronde, come lei stessa afferma, attualmente sta esplorando «una sorta di stile da “non-performance”, un approccio “anti-intrattenimento”».
Capendo questo si comprende anche l’essenzialità dell’intervista, dove si parla di lei e del nuovo progetto che ha da poco messo in piedi.

La sua carriera è nota prevalentemente per il percorso intrapreso una decina d’anni fa, quando assieme alla sorella Sierra ha fondato il celebre duo CocoRosie – nome che nasce dall’insieme dei due vezzeggiativi coi quali la madre chiamava le due sorelle, Coco e Rosie.
E dopo una tournée estiva che l’ha vista protagonista sui palchi europei con la sorella, Bianca Casady ha sviluppato un nuovo progetto chiamato Bianca Casady & The C.i.A.: un lavoro, questo, che va a riunire sotto un unico nome uno spettacolo multiforme ed emozionante.
Si intrecciano così danza, musica, teatro ed arti visive, che assumono forme affascinanti plasmate direttamente dal genio di Bianca e che saranno presentate in Italia in quattro date.
Sarà infatti possibile vedere la performance di Bianca Casady & The C.i.A. a Milano (23/11), Roma (24/11), Bologna (25/11)  e Firenze (26/11).

Sono passati 11 anni dalla release di “La maison de Mon Rêve”: le CocoRosie sono state il tuo primo passo consapevole verso il mondo della musica?

Stavo facendo performance di poesia per conto mio, principalmente a New York, ma non ne ero del tutto soddisfatta. In una di queste performance ho deciso di cantare le mie poesie anziché recitarle, ed ho sentito una potente sensazione: questo successe proprio poco prima della nascita delle CocoRosie.

Quali sono le differenze principali tra la tua carriera solista e le CocoRosie?

Le mie canzoni sono tutte stonate.

I film ti hanno influenzata, dandoti ispirazione e plasmando i tuoi live?

Uso molto la componente video nei miei live: di solito si tratta di un filmati cupi senza una direzione.
Il mio lavoro è molto trainato dal personaggio e uno dei miei film preferiti è sicuramente “La strada“.

La richiesta più strana a un tuo concerto?

Non raccolgo richieste, non conosco nemmeno l’audience.

Ti va di presentare al pubblico la tua gang di musicisti?

Sì, ho una gran band con molta personalità.
Con me c’è Douglas Wieselman al clarinetto basso e talvolta alla chitarra elettrica: ha una grande anima.
Poi c’è J.M. Ruellan al pianoforte e ad altre tastiere dissonanti: è più un visual artist che un musicista rodato, i suoi studi in classici e gli anni di assenza di pratica lo rendono il perfetto musicista dal sound magico e impacciato che cerco.
Poi c’è Takuya Nakamura alla tromba e al basso elettrico, che ho rubato dalle CocoRosie, anche se in quel progetto di solito suona le tastiere.
E poi c’è Michal Skoda alla batteria, musicista che incontrai per caso: è il più nuovo e giovane acquisto di questo progetto ma suona divinamente.

“Mother Hunting” come ti ha aiutata ad iniziare ‘The C.i.A.’ e com’è divenuto famoso il progetto?

“Mother Hunting” è un’opera teatrale che ho scritto e diretto lo scorso inverno in Norvegia: è il secondo lavoro che ho creato da sola.
In questa pièce non c’è stata separazione tra il performer e il tecnico, e i tecnici che stavano compiendo la performance sono divenuti le misteriose uniformi da men-in-black per ‘The C.i.A.’.

Instagram e l’egomaniaco mondo dei social network world: preferisci stalkerare o posare?

Preferisco fare foto, ma non i selfie, eh?

Parlando di cinema, son passati cinque anni dall’ “Alice in wonderland” di Tim Burton e ora arriva il prevedibile sequel: se potessi creare un tuo mondo, esso avrebbe senso?

Il mio mondo è già abbastanza magico e non-sense così com’è. Aggiungo anche che le strade del mio mondo sono tutte senza alcuna meta.


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Mark Zonda

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Mark Zonda debutta come editor musicale nel 2003 per Ephebia arrivando in breve tempo ad intervistare artisti del calibro di Emiliana Torrini e i Cardigans, non mancando di curare diversi live reports su è giù per l'Italico Stivale. Cercando una voce indipendente gestisce nel tempo i blog 7Sunday5, SleepWalKing (curandone anche un podcast in Inglese settimanale) gestendo un gruppo di scrittori musicali internazionale e Loft80, prima di iniziare la sua collaborazione con Oca Nera Rock. Mark fa inoltre parte di un progetto musicale indie pop chiamato Tiny Tide ed uno più cantautorale a nome Zondini Et Les Monochrome, con il quale è stato candidato al Premio Tenco nel 2013. Nel 2009 fonda l'etichetta KinGem Records. Mark lavora come copywriter e ha pubblicato il romanzo breve "Dodici Venticinque".

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